Dopo i ballottaggi una Direzione per cambiare passo: radicare il partito nei piccoli centri e nella rete. Dialogo con il mondo del lavoro e della società organizzata per avviare una Costituente delle idee. Assemblea nazionale in autunno dove sarà varato il programma del nuovo Pd, il Piano per l’Italia, la piattaforma per il voto. Sempreché il governo gialloverde non frani prima. Queste le tappe della marcia di Nicola Zingaretti, esposte in direzione alla fine della quale ha riunito i nuovi europarlamentari e nominato David Sassoli capogruppo del Pd a Bruxelles. Dove i dem già si dispongono a una nuova «grande coalizione» con i popolari e i liberali, dopo averla negata nella campagna elettorale.

Nelle minoranze i malumori non mancano, ma il confronto è rimandato a dopo il secondo turno delle amministrative, dal quale Zingaretti aspetta buone notizie. Quanto alle europee, ieri è tornato a respingere lo scetticismo di Renzi sul risultato delle europee: «In me non c’è alcun trionfalismo, ma valgono poco i numeri assoluti sugli elettori che ci hanno scelto: nello scontro contano percentuali».

Si chiude male per i dem sardi la vicenda dell’opzione di Pietro Bartolo: eletto dalla Sicilia e dal Lazio, ha optato per la Sicilia privando l’altra isola di una rappresentanza. Primo dei non eletti era infatti Andrea Soddu, sindaco di Nuoro.

Zingaretti deve anche “aggiustare” la nuova gaffe di Carlo Calenda che all’indomani della sua scintillante elezione si era dichiarato pronto a far diventare il movimento Siamo europei un partito, in maniera consensuale con il segretario («mi muovo solo se lo decidiamo insieme»). In pratica l’annuncio di una scissione consensuale. Subito smentita. «Di fronte ai pericoli della destra il campo democratico deve essere abitato da altre forze oltre al Pd. Ma abbiamo il compito di concentrarci soprattutto sul Pd, coltivare al massimo la pianticella che abbiamo piantato», ha spiegato Zingaretti.

In realtà non era una gaffe ma una voce dal sen sfuggita che lasciava trasparire la regia di una mossa per indebolire l’attivismo di Renzi e riportare sotto il controllo di Zingaretti l’«operazione centro». Il segretario ha rassicurato il gruppo dirigente dem. Nessuna scissione. La linea resta la «vocazione maggioritaria», depurata però dagli atteggiamenti di «arroganza sprezzante», leggasi quelli di Renzi. Il Pd deve diventare «un luogo sempre più plurale» per poi attrarre, aggiunge, «nuovi soggetti politici. Non si tratta di rivolgere le nostre forze solo in una direzione».

La vocazione maggioritaria e la vocazione alle alleanze sono, nella storia del Pd, due modelli diversi. Attrarre all’interno del Pd personalità e forze ’moderate’ rischia fatalmente di riproporre il «ma anche» veltroniano, storia di successo e tuttavia perdente. Ma all’indomani delle europee, e alla vigilia dei ballottaggi, per il segretario non è il momento di addentrarsi nelle alchimie dell’alleanza futura. «Fuggo il dibattito in un politichese che non parla alla signora Maria e al signor Giovanni, che vogliono sapere perché metteranno lui o il figlio in cassa integrazione», ha risposto poi ai cronisti che gli chiedevano conto della questione.