Tra alleati ci si aiuta. La prima giornata di votazioni sulla legge elettorale in aula alla camera si anima del litigio tra Pd e Cinque stelle. Come ai vecchi tempi. «Dopo due giorni avete già cambiato idea», scrive Renzi. «Sei tu che non tieni i tuoi nel voto segreto», replicano i grillini. Ma sono dichiarazioni, buone per confondere. La sostanza è che Grillo è in difficoltà, perché sta rinunciando a due punti fermi della sua propaganda: le preferenze – «no al parlamento dei nominati» – e il voto disgiunto. È il prezzo che paga all’accordo, magari lo paga anche volentieri perché nessuna delle due modifiche coincide con gli interessi reali del Movimento. Però la conversione è notevole e ai grillini serve una via d’uscita. Come al solito la trovano nel blog. Se gli iscritti approveranno la legge elettorale così come sarà stata modificata (o non modificata) dall’aula, i deputati cinghia di trasmissione degli iscritti (o degli iscritti che votano) si adegueranno. Finirà così. Ma mentre il blog riapre le votazioni nel fine settimana, l’aula della camera – che pure aveva una fretta matta – si ferma paziente e rinvia il voto finale a martedì. Il Pd tende una mano e l’alleato a 5 Stelle l’afferra. Nel frattempo si insultano per rispettare il copione.

«SIAMO FAVOREVOLI alle preferenze e favorevoli al doppio voto», assicura il deputato grillino Toninelli, mentre annuncia che però non sosterranno gli emendamenti di Mdp che vorrebbero introdurli (avevano già fatto lo stesso in commissione). Perché «se passano si ferma tutto e non si vota più». Le preferenze non sono nel modello tedesco, l’originale che la traduzione in italiano ha reso irriconoscibile. Ma il doppio voto, anche disgiunto, sì. La logica dei 5 Stelle è: migliorie solo se è possibile. Se non è possibile, affidare la responsabilità al blog.
Berlusconi, il terzo contraente forte dell’accordo, naturalmente le preferenze non le accetterebbe mai. Nella prima prova dell’aula, il voto sull’emendamento Mdp che riscrive la legge, i grillini si astengono e non condizionano l’esito. L’asse con Pd, Lega e Fi regge bene, i contrari sono quasi il doppio dei favorevoli.

NON ERA ANDATA COSÌ, però, nella votazione di inizio pomeriggio sulle pregiudiziali di costituzionalità. Ma allora si stava ancora trattando sugli emendamenti da ammettere – e vedremo che ce n’è uno al quale i 5 Stelle tengono forse più che alle preferenze – e sulla possibilità di far slittare il voto finale. Il Pd ha provato a resistere un po’, anche perché in questo modo l’ultimo sì della camera arriverà a risultato delle amministrative acquisito. Non lo scenario migliore per Renzi, che teme qualche brutta notizia dalle città. E la conseguente tentazione della sua minoranza interna di smarcarsi dalla legge proporzionale. I movimenti di Napolitano, Finocchiaro e altri maggiorenti della mozione Orlando non sono sfuggiti ai renziani. E in una riunione del gruppo i deputati vicini al ministro della giustizia hanno fatto notare che se ai grillini è concesso di smarcarsi dal patto, presentando i loro emendamenti, non si vede perché anche la minoranza Pd non possa fare le sue battaglie. C’è un emendamento, in particolare, sul quale puntano gli orlandiani. L’ha presentato Cuperlo e sollecita i nostalgici del maggioritario di marca ulivista, prevedendo premio di maggioranza e coalizioni. Il risultato di queste tensioni è appunto il voto sulle pregiudiziali, che vengono sì bocciate, ma con un centinaio di voti mancanti per l’alleanza a quattro che sostiene la legge. Anche per questo il Pd si ammorbidisce e poco dopo concede lo slittamento a martedì. Nell’altro voto segreto della giornata – su un emendamento del deputato Menorello – la maggioranza si conferma e tiene, anche se tra voto palese e voto segreto i contrari alla legge crescono di una novantina di voti. Annunciando due giorni di votazioni delicate.

NASCOSTA dai reciproci attacchi, infatti, la trattativa tra Pd e grillini prosegue. E passa anche da un emendamento firmato da sei deputati 5 Stelle sullo statuto dei partiti, il documento introdotto dal decreto del 2013 che regola il finanziamento pubblico. I grillini, è noto, sono allergici allo statuto e con questa mossa puntano a condizionare l’esito del (lungo) dibattito sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Prevedono infatti che i contenuti dello statuto non potranno essere presi in considerazione al momento di ammettere o meno le liste alle elezioni. Il relatore Pd ha accantonato l’emendamento prima di esprimersi a favore o contro. Una carta da giocare in vista dell’intesa finale.

LA LEGGE VA AVANTI così, anche se non è risolto il problema dei collegi, che per consentire la corsa alle elezioni anticipate il Pd ha già disegnato nel testo, facendo riferimento alla popolazione del 1991. Mentre la Costituzione stabilisce che si prenda come base l’ultimo censimento (2011). Un nuovo emendamento del relatore risolverebbe il problema per il senato, ma non ancora per la camera. Problema grosso, visto che ieri qualcuno ha ricordato come già nel 2005 la commissione per la revisione dei collegi aveva evidenziato 61 collegi del senato da rivedere. Collegi che invece sono stati resuscitati senza modifiche per la prossima camera. Un secondo emendamento del Pd, infine, concede graziosamente anche ai bersaniani di Mdp l’esonero dalla raccolta delle firme, come per tutti gli altri gruppi costituiti ad aprile scorso in parlamento. Mentre tutti gli altri che intenderanno partecipare alle elezioni dovranno raccogliere qualcosa come 50mila firme. In caso di voto anticipato dovranno farlo ad agosto.