Il segnale di stop alle polemiche sul Mes da parte del Pd arriva qualche ora prima delle parole con cui il premier Conte si rimangia il suo sostanziale «mai» sull’utilizzo del Fondo salva stati sanitario. Nel pomeriggio Nicola Zingaretti fa un gesto distensivo, come nelle sue corde: bene i «risultati importanti» del governo nella trattativa con l’Europa, ovvero «il superamento del Patto di Stabilità, la maggiore flessibilità sui bilanci, il grande Piano Acquisti della Bce da oltre 1000 miliardi, le proposte che l’Eurogruppo ha consegnato al Consiglio Europeo», scrive il segretario sull’HuffingtonPost, avanti così «valorizzando le novità che anche grazie all’iniziativa italiana sono state introdotte e strumenti che possono essere preziosi per ripartire». Dopo le parole di Conte è il capodelegazione al governo Dario Franceschini a siglare la pace: sono «ragionevoli e condivisibili», «Non è il tempo di posizioni pregiudiziali ma occorre sostenere la posizione italiana su mezzi e risorse della Ue per affrontare l’emergenza. Tra questi verificheremo se ci sarà la conferma di uno strumento, Mes o come verrà chiamato, senza condizionalità per affrontare la spesa sanitaria».

MARTEDÌ, DOPO GIORNI di polemiche nella maggioranza, era stato lo stesso leader Pd, sebbene nella sua funzione di presidente di regione, a ‘ufficializzare’ la posizione del partito a favore della «possibilità» di accedere al Mes sanitario. Una posizione di equilibrio fra chi fra i suoi aveva disciplinatamente seguito Conte nel «mai Mes» (Misiani) e i capigruppo che invece ne avevano chiesto l’utilizzo.

ALLA FINE IL PD RAGGIUNGE il risultato, dunque, di «aiutare» il premier a non arrivare al tavolo del Consiglio europeo con una posizione che, a parere del Nazareno, avrebbe penalizzato l’Italia nella trattativa per raggiungere il core business dell’obiettivo, quel recovery fund che in sostanza rappresenterebbe un cambio di passo nella Ue. Uno strumento che però, se va bene, potrebbe elargire liquidità non prima di fine anno. A differenza del Mes, strumento agile pronto all’uso immediato. Una posizione «laica» che è quella tenuta da sempre dal presidente del parlamento europeo David Sassoli e dal Pd a Bruxelles: «Siamo impegnati in un negoziato difficile, di cosa sarà necessario usare parleremo dopo il 23 aprile», spiega il capogruppo Brando Benifei, «valutando tutti gli strumenti. Certo è che accontentarsi del Mes, che non è un oggetto demoniaco ma uno strumento per prestiti a interessi agevolati, sarebbe poco sensato».

NELLA POLEMICA INGAGGIATA dai parlamentari Pd contro l’ala dura grillina c’era anche l’obiettivo politico di battere un colpo rispetto ai veti dei 5 stelle. Il messaggio era arrivato forte e chiaro. Lo dimostra l’avviso a mezzo stampa del reggente Vito Crimi: «Mi stupiscono le parole del Pd, perché mettono in discussione la linea del governo del presidente del consiglio Conte», dice il reggente M5s al Fatto, accodandosi ai retroscena che riferiscono del presunto lavorìo per un cambio di governo.

L’IPOTESI VIENE NEGATA da Delrio e Marcucci. Ma soprattutto è fuori dalla realtà: presuppone la caduta di Conte ma il suo successivo protagonismo per riorganizzare una parte dei 5 stelle in una (lunare) maggioranza con il Pd e Forza Italia. Fantapolitica. Il che non nega la crescente insofferenza nel Pd, dal governo in giù, per le incertezze della gestione dell’emergenza e la tendenza all’accentramento di Palazzo Chigi, che non sempre produce scelte felici. Ieri l’ex ministra Marianna Madia ha ricapitolato le questioni su cui i dem chiedono di «fare maggiore chiarezza e garantire celerità alle scelte di governo»: sistemi di monitoraggio dei contagiati e test, mascherine, task force. Per non parlare della fine del lockdown: «Occorre dire con chiarezza alle persone, ai lavoratori, alle imprese come si passerà alla seconda fase», «l’incertezza rischia di essere un detonatore sociale».

LE PAROLE DELL’EX MINISTRA riassumono le principali questioni sul tavolo. Se l’emergenza sarà la cifra del lavoro del governo e della maggioranza nei prossimi mesi, Palazzo Chigi dovrà sforzarsi di più a condividere le scelte. Soprattutto con la forza che fin qui gli ha coperto le spalle sempre, bon gré mal gré. È la scarsa condivisione a indebolire il premier, è il ragionamento, non il fantasmatico progetto di un cambio di guardia a palazzo.