Nel clima torrido di uno dei pomeriggi più incandescenti della storia del Nazareno, e tra i più caldi in quella della Capitale, accade persino che un’agenzia lanci i titoli di un post del segretario Nicola Zingaretti: colpo di scena, dà ragione a Renzi e alla sua proposta di governo-accozzaglia antiSalvini. Ma è un errore. Lo staff del segretario smentisce con decisione. Può succedere perché per tutta la mattinata non è chiara la linea del leader del Pd. Dal «al voto subito» sta virando verso «un governo di legislatura, se ce ne sono le condizioni», il tutto affidato naturalmente a Mattarella.

La lenta svolta è frutto del lavorìo di Dario Franceschini. E di Goffredo Bettini, che per primo ha suggerito questa variazione sul tema del voto immediato, considerato «un arrocco». Anche l’area civica di sinistra dell’eurodeputato Massimiliano Smeriglio chiede di «essere pronti al dibattito parlamentare e alle sue evoluzioni». Per parlarne Paolo Gentiloni in mattinata è arrivato al Nazareno. La disponibilità a un «patto di legislatura» è una linea nei fatti impraticabile ma che ha il vantaggio di aprire qualche spiraglio in parlamento. E di togliere a Renzi la titolarità della proposta del Pd. L’accozzaglia di Renzi per fare la finanziaria e la riforma Fraccaro è difesa solo dallo zoccolo duro dei renziani. «La direzione ha già deciso due settimane fa: nessun accordo con i 5 Stelle», spiegano al Nazareno. E se nel pomeriggio i senatori – a maggioranza renziana – si riuniscono per decidere come combattere la battaglia sulla calendarizzazione del discorso di Conte, «l’assemblea dei gruppi parlamentari non ha alcuna titolarità a compiere scelte politiche», viene sottolineato.

Oggi i senatori dem dovranno assicurare la presenza per il voto del calendario d’aula. Ma nel partito ci sono due linee. Per questo può succedere che alla riunione il capogruppo Marcucci possa dire che «l’obiettivo di oggi è quello di arrivare ad un nuovo governo, di che natura dovrà essere, lo vedremo in seguito». Smentito dalla maggioranza: «Una idea personale del senatore». Il quale però insiste che è la linea concordata al Nazareno con il segretario.
La crisi è del governo gialloverde, ma anche il Pd non scherza. La proposta di Renzi per allungare la vita all’esecutivo alla fine non raccoglie la hola che il senatore si aspettava. In serata anche Marco Minniti la boccia senza appello. I giornali però sono pieni di retroscena che danno per imminente la scissione. «Fonti della maggioranza» – è la formula delle notizie confidenziali che filtrano dagli uomini vicini a Zingaretti – fanno sapere che «è grave che nessuno di quella parte di minoranza renziana abbia ancora smentito la nascita di un nuovo soggetto politico chiamato Azione Civile». Si lamenta il deputato Michele Anzaldi: «Da stamattina si susseguono veline di ‘fonti’ anonime che fanno riferimento alla segreteria Pd e attaccano una parte del partito e l’ex segretario Renzi: questo è il modo confrontarsi? Questa è informazione seria? Che ne pensano i direttori dei giornali, l’Ordine dei giornalisti?». Ma dalla parte di Renzi le armi sono le stesse armi, non da oggi. La smentita della scissione comunque non arriva. Ma per ora neanche la scissione: la possibilità del voto a ottobre la rende impraticabile. I sondaggi non la consigliano. E al senato, grazie al nuovo regolamento, il nuovo gruppo non potrebbe neanche nascere. Gli scissionisti (17 secondo la maggioranza) finirebbero ingloriosamente nel gruppo misto.

Arriva invece la diffida di Antonio Ingroia. La scena è comica, la sorte è perfida: l’ex pm di Palermo, ora avvocato e con qualche residua ambizione politica, mantiene in vita una sua associazione che si chiama proprio Azione civile. Per questo strilla al plagio e dà a Renzi del «patetico», uno con «un problema di sopravvivenza politica». Oggi Renzi ha convocato una sua conferenza stampa al senato. Chi ci ha parlato esclude l’annuncio della fatidica fuoriuscita. Ma di certo l’ex segretario si metterà «en marche». Per dove però ancora non è chiaro.