Uno viene da Roma e anche dai suoi è giudicato «troppo romano», l’altro è un uomo del nord; entrambi governano; soprattutto entrambi praticano il modello delle alleanze civiche e di centrosinistra. Ieri a Milano al Teatro Leonardo, dopo un’intera giornata di interventi, l’incontro fra il candidato al congresso Pd Nicola Zingaretti e il sindaco di Milano Beppe Sala è fra due che parlano la stessa lingua. Il sindaco non si schiererà alle primarie – «cadono in un momento sbagliato», spiega – eppure c’è sintonia con Zingaretti che è – come lui – un uomo «del dialogo». Dice Sala: «Scegliamoci meglio dei compagni di squadra. Viviamo in un’epoca di pieno proporzionale e in cui il bipolarismo è finito. Nella politica bisogna parlare con gli altri», e conclude: «Mi auguro che se il segretario sarà Nicola abbia sempre la capacità di parlare con gli altri. Il sogno maggioritario per oggi non esiste, dobbiamo lavorare sulle vicinanze».

ZINGARETTI È D’ACCORDO: dal capoluogo lombardo può ripartire «un pensiero di sinistra» perché «qui c’è un modello vincente che ha garantito crescita, sviluppo ed equità, e soprattutto una cultura politica positiva di questo centrosinistra, all’insegna del dialogo, dell’inclusione, della concretezza con cui io mi trovo in grande sintonia».

C’È DELL’ENFASI nelle parole, ma è perché quello di Milano è lo stesso modello di alleanze politiche e sociali professato nella sua regione.«E fare il congresso sotto il nome di Piazza Grande è l’ennesimo tentativo di stare in campo in forma unitaria e proiettata all’esterno nei confronti della società», spiega.

IL «PD APERTO» DI ZINGARETTI, e cioè lo slogan della sua campagna per le primarie lanciato nei primissimi giorni del 2019, non è solo una necessità dettata dalla legge proporzionale delle politiche. È anche un ragionamento – ma si può anche chiamare calcolo – già per le prossime europee, anch’esse con legge proporzionale. Il listone proposto dal candidato, magari senza simbolo del Pd («Non è un dogma» ha detto venerdì al Messaggero) ha smosso le acque paludose del lago dem e attira consensi nella galassia dispersa del centrosinistra. Da Calenda a Boldrini, ovvero dalle personalità liberal alla sinistra. L’obiettivo è fermare la frana nei consensi, invertire la rotta. E, grazie anche a una forte iniezione di civismo, puntare a una parte degli elettori «traditi» dal Movimento 5 stelle che non intendono buttarsi a destra su Salvini. A loro Zingaretti lancia continui segnali di interesse, in questo segnando una forte discontinuità con l’era renziana.

ANCHE UNA MANCIATA di punti in più rispetto al drammatico 18 per cento del 4 marzo avrebbero, è il ragionamento di chi lavora con Zingaretti, un sicuro effetto-rilancio.

RAGIONAMENTO suggestivo, nella paralisi del Pd. Anche nel giorno dei banchetti contro il governo gialloverde. Lo sfidante Martina è così costretto a presentarsi come il difensore delle insegne della casa: «Altro che rinunciare al simbolo. Allargare non vuol dire annullarci», ha detto ieri dalla piazza Sì Tav di Torino (in cui i compagni di strada però erano i leghisti e Forza Italia). Gli replica Roberto Morassut, storico fautore dell’allargamento Pd: «Non più di venti giorni fa Martina aveva detto di voler trasformare il Pd nei Democratici. Ora afferma che non va bene una lista aperta alle europee ma che deve restare il simbolo del Pd. Un metronomo appare meno oscillante».

MA IL PD PUÒ FERMARE la corsa sul piano inclinato? Sala, che conosce grillini e Lega per averli sconfitti a Milano, e conosce anche il malessere del nord nei confronti del governo, non ne mitizza il successo: «Gli amici vanno e vengono, i nemici rimangono. Salvini se li sta mettendo contro tutti. Quindi con calma e con pazienza facciamo la nostra parte. Ma non riteniamo invincibile chi ora governa».
LA PENSA COSÌ anche il suo predecessore a Palazzo Marino Giuliano Pisapia, ’caduto’ eccellente sul fronte dell’unità del centrosinistra: «Stiamo vivendo lo stesso clima del 1994, mai poi vincemmo. Non disperiamo». A patto di cambiare il Pd, però. La condizione – allora impossibile – che aveva messo a Renzi alle ultime politiche. Renzi non c’è più, o quasi, Pisapia ripete oggi il discorso di allora: «Senza unità non c’è discontinuità e senza discontinuità non c’è unità. Ma basta guardare indietro, guardiamo avanti per affrontare concretamente i problemi delle persone».