La farfalla volava basso, si mimetizzava nelle celle di massima sicurezza, volteggiava indisturbata tra i penitenziari di mezza Italia. Si nascondeva nelle barbe finte degli uomini dei servizi a caccia di informazioni nei colloqui riservati con i detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Ma lemme lemme la nebbia fitta comincia a diradarsi e la farfalla a intravedersi. È uno dei tanti misteri d’Italia che l’audizione della Commissione parlamentare antimafia, che ha avviato ieri a Reggio Calabria la sua attività d’indagine, sta scoperchiando dal pentolone delle trame occulte e dei segreti irrisolti. È stato il guardasigilli in persona, Annamaria Cancellieri, ad ammettere l’esistenza di questo rapporto. Nome in codice “Farfalla”, appunto. Racconta di un patto segreto tra i servizi di intelligence e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che in passato, ma chissà forse ancora oggi, ha permesso agli spioni di far visita ai detenuti (‘ndranghetisti e mafiosi) al 41 bis. Per raccogliere informazioni? Ancora non è dato sapere. «Soprattutto ci chiediamo se sia ancora operativo» incalza Claudio Fava (Sel), vicepresidente dell’Antimafia. «È una questione pesante a cui, noi come Commissione e il procuratore capo della Dna, Roberti, chiediamo venga data risposta al più presto. Siamo di fronte non al dubbio ma alla certezza che vi sia stato e vi sia un protocollo operativo che all’epoca era stato istituito fra il Sisde e il Dap. Di questo ha reso testimonianza di fronte all’autorità giudiziaria il numero due del Dap, Sebastiano Ardita, spiegando che di questo protocollo lui sapeva l’esistenza ma non i contenuti. È un protocollo che in sostanza prevede la collaborazione fra la struttura penitenziaria che si occupa dei detenuti al 41 bis e i servizi di sicurezza. Naturalmente abbiamo la necessità come commissione di sapere cosa contenga questo protocollo, quali fossero le possibilità di accesso alle strutture carcerarie dei nostri servizi di sicurezza. Anche perché supponiamo che il protocollo all’epoca sviluppato dal Sisde sia stato ereditato anche dall’Aisi. Mi è sembrato abbastanza insolito che il ministro della Giustizia non ne fosse a conoscenza. Quanto meno ai tempi in cui il protocollo è stato sviluppato, il Viminale deve essere stato informato e l’informazione deve essere messa a disposizione di chi viene dopo. La ministra ci ha detto che riferirà e noi aspettiamo. Ma la domanda resta. Quale funzione hanno avuto i servizi in questi anni? Indurre alla collaborazione i detenuti al 41 bis? Intercettare comunicazioni che potevano arrivare all’esterno?».
Domande inquietanti, ma che diventano ancor più urgenti alla luce anche del ruolo «non di totale limpidezza», sottolinea Fava, che nella storia d’Italia hanno avuto i servizi. «Pensiamo a quello che è accaduto 20 anni fa, ai silenzi che hanno accompagnato la stagione delle stragi e presumibilmente al ruolo anche di una parte degli apparati», ma soprattutto della possibilità «di una nuova recrudescenza con il rischio di una nuova stagione stragista» come paventato giorni fa dal ministro Alfano. A lanciare l’allarme, rivela Fava, sono stati i magistrati di Palermo che hanno ventilato l’ipotesi che «la mano e l’intenzione non sia riferibile soltanto a Cosa nostra». Ma nasconda altri interessi non ancora definiti, ma che potrebbero non escludere – secondo Fava – un coinvolgimento della ’ndrangheta e non solo. «La procura di Reggio questa preoccupazione l’ha esposta nitidamente. Vi è un punto di interesse condiviso sicuramente per quanto riguarda interessi passati e vecchi progetti stragisti. Questa collaborazione c’è stata in passato e c’è ragione di temere che si ripeta in futuro. Questo è anche un contesto inquinato e vischioso in cui è facile che si possa realizzare un progetto che chiama in causa soggetti diversi da quelli delle stesse organizzazioni criminali«.
Il pericolo, avverte il vicepresidente dell’Antimafia, non è solo legato alla criminalità calabrese. «Si è parlato molto anche di massoneria, come camera di compensazione all’interno della quale si possono incontrare interessi non solo riconducibili alle ’ndrine, ma anche a borghesia d’affari e professioni. Al riparo da sguardi indiscreti possono costruire alleanze e progetti solidi». In questa situazione di confusione sociale e di crisi economica, c’è il rischio che la palude collosa di interessi eversivi si allarghi. Coinvolgendo pezzi deviati dello Stato e criminalità organizzata. Dalla città dei “boia chi molla” di quarant’anni fa, e nel pieno delle giornate dei forconi inclusi proclami paragolpisti, il messaggio che arriva è inquietante. E non poco.