A Propos of Nothing, il memoir di Woody Allen, non uscirà. Hachette Group Book ne ha sospeso la pubblicazione – una «decisione difficile» l’ha definita il portavoce del gruppo – prevista per il prossimo 7 aprile – dopo le proteste di una parte dei suoi dipendenti, che lo scorso venerdì hanno manifestato davanti alla sede newyorchese in sostegno di Dylan Farrow, la figlia adottiva di Mia Farrow, che accusa il regista di averla molestata nel 1992, quando aveva sei anni. E di Ronan Farrow, nome di punta di Hachette, con la quale ha pubblicato il suo Catch and Kill, che nei giorni scorsi aveva minacciato di andarsene giudicando intollerabile la scelta di promuovere l’autobiografia del padre di cui è da sempre uno dei principali accusatori.
Ancora una volta come già con l’ultimo film di Allen, A Rainy Day in New York, ritirato da Amazon sul mercato – e uscito solo in Europa – la domanda è: può la censura, perché infine di questo si tratta, divenire uno strumento nella lotta per l’eguaglianza, la parità di genere, contro le violenze sessuali messe al centro dal #MeToo?

SUI PRESUNTI abusi a Dylan ci furono all’epoca due indagini separate, Allen – che ha sempre negato i fatti – non venne mai rinviato a giudizio, mentre gli inquirenti conclusero che probabilmente la bambina era stata influenzata all’interno di una separazione coniugale – quella tra Allen e Mia Farrow – estremamente violenta. Erano tutti corrotti? Hanno agito tutti con leggerezza? Può darsi. Tuttavia la «condanna» decisa al di là di ogni evidenza contro Allen che lo ha reso uno dei target – e dei simboli – di ogni violenza fa pensare più al trionfo di un giustizialismo politicamente e culturalmente insostenibile che a una conquista di equità.
Forse però la «colpa» reale – e ciò che motiva un accanimento nei suoi confronti tale da escludere ogni dubbio, le inchieste e quant’altro – è un’altra, quella cioè di avere sposato la figlia adottiva di Mia Farrow (e di André Previn), Soon-yi Previn. Non era sua figlia d’accordo, anzi non l’aveva nemmeno adottata lui, nessun legame di sangue perciò, ma sul piano del simbolico quel gesto rappresenta la sfida al tabù dell’incesto, perché lui viveva in quella casa da «padre» e lei era «figlia», il sangue non conta.

È INSOMMA questo «patto» sociale e culturale che Allen ha infranto e che si riverbera quasi come in uno specchio nella certezza di verità dell’accusa di Dylan; semplificando, se ha sposato una figlia ha molestato di certo l’altra. Più o meno.
La questione è stratificata, e scivolosa, ma ancora una volta non è censurando che si affronta. Perciò fa benissimo Elisabetta Sgarbi, con la sua Nave di Teseo editore italiano del memoir alleniano – che sarà in libreria il 9 aprile col titolo A proposito di niente – a mantenere l’impegno preso e a pubblicarlo. Qualsiasi parere o giudizio spetterà ai lettori, che potranno soppesare parole e fatti – pure se in una narrazione «di parte». E la capacità di giudizio con l’informazione, la riflessione, è la ricchezza più preziosa da difendere nei nostri tempi di asserzioni nette: un no alla pubblicazione non ci farà pensare meglio. Anzi.