Squadra che perde non si cambia. Bisogna rovesciare la saggezza di Vujadin Boskov per capire il parlamento italiano. Dopo tre mesi e dieci votazioni, per ognuna delle quali servono circa sei ore, Luciano Violante proprio non ce la fa a essere scelto come giudice della Corte Costituzionale. Ragione per cui ci riproverà oggi, assieme al forzista previtiano Donato Bruno entrato ufficialmente in campo ieri, una volta logorate le altre candidature. Violante e Bruno hanno raccolto praticamente lo stesso numero di preferenze – solo una in più l’ex presidente della camera, 530 – restando comunque sotto il quorum richiesto di 570 voti. La coincidenza viene letta sia dal Pd che da Forza Italia come prova che il patto tra Renzi e Berlusconi tiene; per questo si insiste.

La colpa dell’ennesima fumata nera viene data agli assenti, in effetti tanti, 107, troppi per essere messi in carico al lunedì, giornata in cui per i parlamentari è tradizionalmente difficile rientrare a Roma. Ma la posta in gioco era assai alta, richiamata più volte da Napolitano e dai presidenti di senato e camera, e dunque almeno a una parte delle assenze bisogna dare il valore politico di rifiuto del patto Renzi-Berlusconi. In più ai 107 assenti (tra i quali 10 Pd, 16 Forza Italia, 9 Ncd) vanno aggiunti 108 voti dispersi, schede nulle, bianche o intestate a candidati non eleggibili. E così il ticket Violante-Bruno che sulla carta dovrebbe contare oltre settecento voti, se ne trova regolarmente un paio di centinaia in meno. Oggi ennesimo tentativo – «l’accordo tiene e il problema legato alle assenze si risolverà», assicura il vicesegretario del Pd Guerini – in quello che ormai è un braccio di ferro tra il governo e la sua maggioranza occulta, riassunta dal patto del Nazareno, e l’opposizione interna a Pd e Fi alla cordiale intesa Renzi-Berlusconi. Ma è chiaro che né la candidatura di Bruno né soprattutto quella di Violante potrebbero sopravvivere a un’ulteriore bocciatura, stasera (risultato atteso molto tardi, perché si comincerà a votare alle sei, una volta esaurite le comunicazioni di Renzi sui famosi mille giorni). Dunque il presidente del Consiglio si gioca molto in questa sfida e per questo ieri si parlava di un possibile nuovo incontro con Berlusconi, quasi inevitabile nel caso di una nuova fumata nera.

Per l’elezione del Consiglio superiore della magistratura invece la fumata di ieri è stata grigia. Sono stati eletti altri tre consiglieri «laici» in quello che somiglia a uno stillicidio: dopo sette votazioni restano ancora due poltrone da assegnare al parlamento. I magistrati eletti dalla categoria, spesso accusati di ritardare il lavoro del Csm, restano in attesa. Gli eletti di ieri sono la professoressa Teresa Bene in quota Pd (indicata direttamente dal ministro della giustizia Orlando, di cui è stata collaboratrice nel Pd a Napoli e consigliera al ministero dell’ambiente), il costituzionalista di Scelta civica ed ex ministro della sanità Renato Balduzzi e la senatrice berlusconiana Elisabetta Casellati. Per tutti si può parlare di un’elezione per il rotto della cuffia, in questo caso favorita e non ostacolata dalle tante assenze. Perché per il Csm la legge prevede che il quorum dei 3/5 sia calcolato non sugli aventi diritto ma sui parlamentari effettivamente votanti, dunque ieri era piuttosto basso: 482 voti. Casellati è risultata eletta per soli 7 voti (489), Balduzzi e Bene anche meno (486), segno di un ulteriore malessere nei partiti (mancano una cinquantina di voti rispetto a quelli raccolti dai candidati alla Consulta).

Niente da fare invece per Luigi Vitali, l’avvocato brindisino che fu punta di lancia in parlamento e al governo delle leggi «ad personam» del governo Berlusconi. Ma più che il curriculum politico il suo problema è risultato essere quello giudiziario, è infatti indagato e imputato in diversi procedimenti penali. Berlusconi l’ha messo in pista ugualmente, la maggioranza del Pd l’ha comunque sostenuto, ma ha prevalso lo scrupolo della minoranza: a Vitali sono andati solo 418 voti e verosimilmente dovrà rinunciare al Csm. Diverso il discorso per il candidato ufficiale grillino, Alessio Zaccaria, risultato primo in una sorta di primarie online che ha tenuto il M5S. Il Pd che pure si era detto disponibile a votare un consigliere in quota Grillo ha prima preteso di scegliere un altro nome dalla lista, quello del secondo classificato alle primarie Nicola Colaianni, che è stato senatore del Pds nei primi anni ’90. Poi, di fronte alla decisione dei parlamentari del Movimento di non votare per Violante, lo stato maggiore democratico ha cambiato strategia. Rendendosi a questo punto disponibile a sacrificare per un’altra forza di opposizione il suo quinto posto al Csm, che sembrava destinato alla deputata Pd Anna Rosamundo. E così i capigruppo del Pd hanno considerato con Sel la possibilità di eleggere l’avvocata ex dei verdi Paola Balducci.