Il patto del Nazareno procede a gonfie vele. Sempre che non ci si mettano di nuovo in mezzo dissidenti e franchi tiratori vari. All’ultimo momento, ieri, i soci hanno sbloccato l’ormai più che incresciosa impasse sulla Consulta. Il Pd conferma Violante, gli azzurri giurano che i loro voti non mancheranno e mettono in piazza a sorpresa il loro nuovo candidato. E’ Ignazio Francesco Caramazza, già avvocato dello Stato. Alle spalle, un caso eccellentissimo: è stato lui a rappresentare Napolitano nel conflitto di attribuzione contro la procura di Palermo per le telefonate intercettate nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.

Donato Bruno, affossato da un avviso di garanzia, aveva già fatto l’inevitabile bel gesto martedì mettendosi a piena disposizione del capo. Una formalità. La sua candidatura era caduta da un pezzo. Restava solo da decidere con chi sostituirlo, e doveva essere un nome tale da non offrire alibi ai ribelli Pd che, nel voto segreto, non se l’erano sentita di spedire alla Corte costituzionale un avvocato notoriamente vicino a Cesarone Previti. Le possibilità erano due: il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Sisto, avvocato pugliese legatissimo a Raffaele Fitto, peraltro suo cliente, o un tecnico puro come appunto Caramazza. A far pendere in questo senso la decisione di Berlusconi è stata certamente la scarsissima voglia di fare un favore a Fitto, ma anche la convinzione che un tecnico come l’ex avvocato dello Stato non avrebbe incontrato ostacoli. Se sarà davvero così lo si vedrà solo stamattina. Di certo, se le cose non dovessero andare per l’ennesima volta come previsto, si porrebbe un problema serio con Giorgio Napolitano, già furibondo per la gaffe della consigliera eletta e poi fatta decadere perché priva dei titoli necessari, Teresa Bene. La decaduta sarà sostituita oggi stesso, e non è escluso che il fattaccio riapra le porte al M5S.

E’ probabile dunque che oggi il Nazareno riesca a mettere in buca la palla sulla Consulta dopo 14 tiri a vuoto. In apparenza l’asse scricchiola invece sul fronte del Jobs Act. Gli azzurri fanno a gara nell’accusare Renzi di aver ceduto all’offensiva della Cgil. «Se Renzi conferma la retromarcia non potremo che votare contro», annuncia Brunetta. E’ fumo negli occhi. Berlusconi, certo, avrebbe preferito che i suoi senatori fossero determinanti, ma così non essendo è contentissimo di dare una mano all’amico Matteo con un voto che dovrebbe mettere sia il governo che lo stesso capo azzurro al riparo dall’accusa di essere i veri burattinai della maggioranza. Il voto contrario alla delega sul lavoro, peraltro, consentirà a entrambi di salvare la faccia a buon mercato. Fi limiterà la sua opposizione al no in aula, senza martellare, e ove il soccorso azzurro si rendesse necessario troverebbe facilmente una via traversa per tornare al voto favorevole.

Senza contare il fatto che, votando contro il Jobs Act, il pregiudicato d’Arcore metterà in seria difficoltà gli odiati cugini dell’Ncd. Per Sacconi, che della legge è relatore, non sarà facile sostenere un testo sia pur lievemente modificato con Fi che invece lo boccia. Non certo a caso, Brunetta chiosa il suo affondo di facciata chiamando in causa l’ex compagno di partito: «A questo punto non vedo come Sacconi possa non dimettersi da relatore». In casa Ncd piove sul bagnato, la coppia del Nazareno spinge infatti ogni giorno di più ai margini Alfano e i suoi. Tanto che Renzi, prima di lanciare la campagna sul Tfr, nemmeno si è premurato di avvertirli.