Luce verde per il Consiglio superiore della magistratura, niente da fare ancora, dopo sette votazioni, per la Corte Costituzionale. Il parlamento in seduta comune continuerà a votare da stamattina, ad oltranza. Sarà con ogni probabilità questo l’esito della tanto attesa seduta – diventata poi una doppia lunghissima seduta – che segna la ripresa dei lavori parlamentari. Il presidente Napolitano si era fortemente raccomandato di porre fine all’attesa, ma è stato accontentato per metà.

Per la Consulta i partiti non hanno retto alla prova degli accordi firmati dagli stati maggiori, un vero e proprio «patto del Nazareno bis» tra Renzi e Berlusconi, denunciano quelli di Sel. Ma intanto il Csm potrà concludere la sua inedita «prorogatio», decisa da Napolitano a fine luglio. E cominciare l’esame delle tante pratiche di nomina che attendono, prima fra tutte quella dei procuratori capo di Palermo e Milano.

Al momento in cui il manifesto chiude questa edizione, lo scrutinio è ancora in corso, ma sembra doversi ancora rinviare l’appuntamento di Luciano Violante con la Corte Costituzionale. Colpa questa volta della mancata tenuta interna a Forza Italia, partito dove la legge di Berlusconi non ha più la presa di un tempo.

Sul nome di Antonio Catricalà, presidente di Authority, sottosegretario, eterna presenza del potere romano, i forzisti si sono spaccati. Non sono più tempi in cui il potere dell’«eminenza azzurrina» Gianni Letta fluisce neutro, e malgrado Matteo Renzi sia andato sul sicuro scegliendo proprio il duo Letta-Berlusconi per chiudere la partita, la palla si è fermata a pochi metri dal gol.

Il senatore Donato Bruno è più popolare tra senatori e deputati berlusconiani, lo è in forza di una lunga militanza previtiana (nel senso di Cesare Previti) e di una sicura presa sulla materia giustizia. Che la scheda bianca degli azzurri sia stata uno stop momentaneo o l’inizio di un nuovo capitolo lo si scoprirà oggi quando si tornerà a votare.

È invece dal Csm che arriva una vera sorpresa. Nel giorno decisivo il Pd ha deciso di mollare i candidati considerati fin qui dalla stampa come più accreditati, l’ex responsabile giustizia del Pds Massimo Brutti – troppo distante nella biografia per diventare rapidamente affine al renzismo rampante – e il prestigioso professore di procedura penale Giovanni Fiandaca, come si sa colpevole di dichiarata ostilità al processo per la presunta trattativa stato-mafia.

La sorpresa è Giovanni Legnini. Avvocato «Cassazionista specializzato in diritto dell’impresa e della pubblica amministrazione», la biografia certifica che ha i titoli a posto, ma che suo il multiforme impegno politico potesse focalizzarsi sui problemi della magistratura e del suo autogoverno, ecco, l’avrebbero detto in pochi. Parlamentare solido con tendenza a occuparsi delle questioni complicate – è stato relatore di alcune leggi finanziarie – ha poi trasferito queste competenze economiche prima alla presidenza del consiglio (con Enrico Letta aveva la delega all’editoria) poi direttamente al ministero dell’economia (con Renzi e Padoan) dove occupava la casella in quota Bersani. E così, se qualche volta gli è capitato di doversi occupare del Csm, è stato perché a quell’organo costituzionale bisognava tagliare, o preservare, i fondi. Ultimamente si era occupato di controllare il piano di rientro dal debito di Roma Capitale, funzione che ne aveva fatto un po’ il sindaco ombra in Campidoglio (sindaco lo è stato davvero, ma di un piccolo comune abruzzese), poi l’inatteso cambio di binario. Assai poco rituale, visto che si tratta di un passaggio senza soluzione di continuità dal governo del paese all’autogoverno dei giudici, con in tasca la nomina a vicepresidente del Csm. Il predecessore Vietti aveva fatto lo stesso, provenendo dallo stesso ministero di via XX Settembre, ma almeno aveva lasciato qualche anno in mezzo ai due incarichi.

In quota Pd anche la professoressa – seconda università di Napoli, materie penali – Teresa Bene, indicata dal ministro della giustizia Andrea Orlando che l’ha conosciuta a Napoli ai tempi in cui fu mandato in città come commissario della disastrata federazione del Pd. La prima volta Orlando la scelse come responsabile legalità della sua segreteria napoletana, successivamente, al ministero dell’ambiente con il governo Letta, il ministro Orlando scelse di valersi della professoressa Bene come consigliera per la revisione della leggi in materia di tutela ambientale. E infine il Csm.

Ex deputato ed ex responsabile giustizia della Margherita, torna nei palazzi romani che contano Giuseppe Fanfani, finito a fare il sindaco di Arezzo. Del celebre Amintore, citato come esempio dalla aretina ministra Maria Elena Boschi, Giuseppe è il nipote, anche la sua nomina è il segno della nuova geografia del potere. Scelti nella maggioranza ma fuori dal Pd anche l’alfaniano Antonio Leone e il «montiano» Renato Balduzzi, professore di diritto costituzionale ed ex ministro, anche lui un «saggio» di quel celebre circolo nominato da Napolitano che ha finito col fare carriera.

Scelti invece nell’opposizione gli ultimi tre nomi del Csm. La prima è la senatrice Maria Elisabetta Casellati, berlusconiana inossidabile. Il secondo Luigi Vitali, avvocato tarantino che ebbe i suoi anni di gloria da sottosegretario alla giustizia nei governi Berlusconi, di lui si ricorda l’impegno in difesa delle tante leggi ad personam che poi la Consulta dichiarò incostituzionali. Il terzo è per i Cinque stelle, che hanno scelto i loro candidati con il voto sul blog di Grillo pubblicando i curriculum online. Il primo dei prescelti è il professore Alessio Zaccaria, ma il Pd preferirebbe scegliere nella rosa il secondo, il professor Nicola Colaianni, che vanta nei trascorsi anche una legislatura in parlamento con il Pds.

Resta invece aperta la partita della Consulta. Che è poi quella più delicata, considerato che la Corte Costituzionale entro la fine dell’anno sarà rinnovata per circa un terzo rispetto a quella che a inizio anno ha cancellato la legge elettorale Porcellum.

Molto presto davanti al giudice delle leggi si presenterà un giudizio assai affine, quello sulla legge elettorale per le europee, in caso di dichiarata incostituzionalità sarà poi la giustizia amministrativa ad intervenire e non saranno possibili girate di spalle, come quella del parlamento nazionale di fronte alla caduta del Porcellum.