La legge elettorale è stata approvata dalla camera dei deputati ed è a metà del suo percorso. Sono mancati una quarantina di sì ma anche una quarantina di no, in piccola parte sono finiti nell’astensione, in gran parte negli assenti. La maggior parte dei dissensi rispetto all’accordo Renzi-Berlusconi che regge l’Italicum si è registrata nel Pd, ma a voto palese i democratici contrari sono stati in tutto il 10 percento del gruppo, cioè solo un terzo di quanti avevano deviato dalla linea del partito sugli emendamenti, allora al riparo del voto segreto. Numeri quindi più che sufficienti alla camera – 365 sì, 156 no e 40 astenuti – ma che potrebbero non bastare al senato, dove si annunciano resistenze maggiori legate anche al fatto che, secondo i piani di Renzi, i senatori dovranno contemporaneamente abolire se stessi.

Nel giorno in cui la maggioranza a tre Pd-Forza Italia-Nuovo centrodestra ottiene il primo passaggio della riforma, immediatamente si divide sulle prospettive. Per i democratici la legge dovrà cambiare al senato. Posizione identica dal Ncd di Alfano. Nel Pd c’è chi è più e chi è meno convinto. La minoranza tenterà di introdurre le preferenze oppure l’alternanza di genere nelle liste bloccate, riproverà con le primarie obbligatorie per legge, al limite farà una mossa anche per ritoccare le soglie. Bersani stesso ha detto che senza cambiamenti la legge non va. I lettiani sono i più pronti a votare contro la legge, per affossarla nel caso non ci saranno modifiche. I renziani dicono invece che le correzioni si potranno fare solo a condizione che ci sarà l’accordo. Ma Forza Italia ha celebrato il via libera di ieri mattina mettendo già le mani avanti: al senato non si dovrà toccare una virgola.

E in effetti il testo approvato ieri è rimasto quasi identico a quello firmato da Berlusconi e Renzi nello studio del segretario Pd al Nazareno. Resta bassa la soglia che bisogna raggiungere al primo turno per evitare il ballottaggio, era il 35% ed è diventata il 37%. Restano le soglie di sbarramento altissime per le coalizioni (12%) e i partiti non coalizzati (8%), si è abbassata di una percentuale infinitesimale la soglia per i partiti dentro le coalizioni (dal 5 al 4,5%). Il premio di maggioranza che nella prima versione era del 17 percento è sceso al 15%: che vinca al primo o al secondo turno la prima coalizione otterrà sempre il 52% dei seggi della camera. Ma il meccanismo per cui i voti dei partiti servono a prendere il premio anche quando vengono esclusi dal riparto dei seggi finisce col moltiplicare a dismisura il valore del premio stesso. Anche oltre quello, risultato incostituzionale, del Porcellum. Una modifica, poco notata c’è stata, introdotta proprio nell’ultima sera di dibattito e quasi di nascosto. Piccola ma necessaria a mettere in salvo la legge dai franchi tiratori: sono stati infatti graziati dall’obbligo di raccogliere le firme quei piccoli partiti che si erano detti contrari alle liste bloccate, e che però nel voto segreto non hanno fatto passare gli emendamenti per le preferenze. E così adesso Fratelli d’Italia, Nuovo centrodestra e anche il gruppo Per l’Italia di Casini hanno acquisito il diritto a ripresentare i simboli gratis, senza la costosa e difficile ricerca delle firme.

La novità più grande è stata la decisione di limitare l’Italicum alla camera. Renzi e Berlusconi l’hanno presa alla penultima curva, per evitare che al voto segreto potesse essere approvato un emendamento che rimandava l’entrata in vigore della legge al compimento della riforma del senato.

Quello che ha passato il primo giro di boa è allora un sistema di voto che vale solo per una delle due camere nelle quali ancora si divide il parlamento. Il risultato è il tracollo della logica che giustifica il premio di maggioranza: con un senato che continua ad essere eletto con il proporzionale la governabilità resta una chimera. Da qui la scommessa di Renzi sull’abolizione del senato elettivo. Scommessa che si è trasformata in un vero e proprio ricatto, soprattutto verso la minoranza Pd: «Se non riesco a superare il bicameralismo perfetto considero chiusa la mia esperienza politica».