È facile, quando si vuole onorare un anniversario, scivolare in una ritualità stantia che ne scolora la rilevanza e la stessa pregnanza simbolica. Ma per l’8 Marzo è importante ricordare il pensiero e l’opera di Salvatore Morelli, il «patriota pugliese», anzi salentino, alleato stretto del nascente movimento femminista italiano, osteggiato, irriso, per anni addirittura misconosciuto, eppure ancora oggi utilizzato da alcune associazioni e scrittrici come difensore delle donne, tanto da oscurarne la portata laica del pensiero e di tutto il suo impegno.

Salvatore Morelli nacque a Carovigno, nel Brindisino, il 1° maggio 1824 e morì a Pozzuoli il 22 ottobre 1880, laureato a Napoli in Giurisprudenza, partecipò alle rivolte contro il Borbone che il 15 maggio 1848 aveva ritirato la Costituzione e sciolto il Parlamento del Regno delle Due Sicilie. Lui, accusato pure di aver arrotolato l’effigie del monarca per fumarla a mo’ di sigaro, fu incarcerato per dieci anni. Detenuto a Lecce e poi in vari altri istituti di pena, da Ischia a Ponza e quindi a Ventotene, dove si dedicò appassionatamente alla scolarizzazione dei minori. Si trovò casualmente a salvarne due dall’annegamento, meritando perciò la grazia, che però preferì «passare» a un detenuto anziano con famiglia. Nell’ultimo anno di carcerazione fu confinato a Lecce, per intercessione dell’ultimo ministro degli Interni borbonico, il salentino – come lui – Liborio Romano, tanto odiato ancora oggi dai filo-borbonici per aver aperto le porte di Napoli a Giuseppe Garibaldi, non ostacolandone l’impresa che Cavour avrebbe voluto riservare al re piemontese.

Caduti i Borboni, Morelli fu eletto consigliere comunale a Napoli, dal 1860 al 1867, e lì propose corsi di formazione dedicati alle donne e ai giovani, progetti di riforma scolastica e la sostituzione del ministero dell’Istruzione nazionale con quatto dipartimenti, nonchè l’estensione del servizio ferroviario da Napoli a Gaeta e Foggia. Colpito dalle doti culturali e umane di due donne: la signora Greco De Angelis, che lo aveva ospitato a Lecce da esiliato, e la signora Claudia Antona Traversi, l’intellettuale lombarda, a Napoli per seguire il coniuge, eletto nel collegio di Massafra, prima traduttrice in italiano dell’opera di Stuart Mill La soggezione della donna, Morelli compose la sua opera più importante La donna e la scienza, in cui esalta la funzione della donna e sollecita l’inserimento delle materie scientifiche nei programmi scolastici. Ma l’azione più significativa potè svolgerla come deputato, eletto nel collegio di Sessa Aurunca dal 1867 al 1880, tanto apprezzata anche da Mazzini e Garibaldi.

Fu primo in Europa a presentare progetti di legge per il voto alle donne, il divorzio, la cremazione – già prevista per casi eccezionali di igiene e operante a Milano dal 1875 -, la parità dei sessi, la parità tra figli legittimi e naturali, il riconoscimento della paternità. Il bicognome per coniugi e figli, misure sulla prostituzione con l’istituzione di sanatori per malati di sifilide, il riconoscimento della facoltà per la donna di testimoniare nelle cause (unica sua legge approvata e che dovrebbe portare il suo nome), l’abolizione della leva militare obbligatoria, la trasformazione del ministero della Guerra in ministero della Difesa, l’istituzione di un Tribunale internazionale, come quelli dell’odierna Onu.

Si battè strenuamente contro il trasferimento di alcune funzioni portuali da Brindisi a Trieste, proprio nel periodo dell’apertura del Canale di Suez che avrebbe reso il Mediterranneo epicentro degli scambi internazionali. Da ricordare la sua opposizione alla legge sulle Guarentigie a favore del monarca capo dello Stato pontificio che secondo Morelli avrebbe riconsolidato il potere temporale, così da risultare inutilmente abbattuto.

Alla fine della sua quarta elezione, proprio l’8 Marzo 1880, fu calendarizzata, anche se poi non discussa, la sua proposta di legge del cosiddetto «piccolo divorzio». Una proposta rimasta storica come primo tentativo parlamentare di prevedere una rescissione legale del contratto matrimoniale in casi come tentativo di uxoricidio, impotenza grave, infedeltà di uno dei due coniugi e persino incompatibilità caratteriale grave. L’ostruzionismo dei deputati cattolici fece abortire il dibattito. E lui, che tante volte aveva provato a farla approdare in aula, dopo aver visto balenare la mèta, morì dopo poco. Poverissimo, tra l’altro, in una locanda a Pozzuoli. «Alla Camera a pane e cipolla il salentino che amò la libertà», come lo ricordò La Gazzetta del Mezzogiorno del 5 ottobre 1970 o con il titolo «Il lungo cammino delle donne», del Quotidiano di Brindisi. Morì come visse, parlamentare con le scarpe rotte, che dormiva sui treni, dopo aver segnalato inutilmente la necessità di attribuzione di un «modesto sostegno economico» agli eletti, appannaggio che poi fu effettivamente istituito da Antonio Giolitti e che negli anni è divenuto sempre più sostanzioso e agognato dagli «onorevoli».

Merito degli amministratori di Pozzuoli, l’aver recuperato in occasione dell’8 Marzo dell’anno scorso, la tomba di Morelli, con una iniziativa pubblica insieme alla ristampa del libro: Salvatore Morelli (per un dimenticato), volume editato la prima volta nel 1916, opera della scrittrice friulana Irma Melany Scodnik, per la Società Editrice Dante Alighieri, rinvenuto dallo storico Vincenzo Adinolfi della Biblioteca napoletana di Benedetto Croce.