Come sarà accolto al suo rientro in Libano il patriarca dei cattolici maroniti Bechara Rai, che ha accompagnato papa Francesco nel suo viaggio in Terra Santa, è l’interrogativo che tanti si ponevano ieri mentre il religioso partiva per la Giordania. La sua decisione di recarsi in Israele, mai presa dai suoi predecessori dopo il 1948, ha suscitato polemiche in Libano. Il movimento sciita Hezbollah e altre forze politiche se da un lato non avevano contestato il diritto del patriarca di pregare con i circa 10 mila palestinesi maroniti, dall’altro avevano messo l’accento sui “riflessi” politici della visita in Israele, paese “in guerra” con il Libano. Una posizione simile a quella dei servizi di sicurezza di Tel Aviv che indagano e spesso arrestano i palestinesi con passaporto israeliano che si recano a Beirut per motivi professionali o perchè invitati ad eventi culturali. Il caso più recente è quello di un giovane giornalista della Galilea, corrispondente del quotidiano di Beirut as-Safir, arrestato al ritorno dal Libano con l’accusa di aver avuto contatti con Hezbollah e poi scarcerato per assoluta mancanza di prove.

Il patriarca Bechara Rai per giorni si è affannato a chiarire che la sua visita in Israele non avrebbe avuto risvolti politici, invece si è dimostrata potenzialmente esplosiva per le sempre roventi questioni interne libanesi. A fare clamore non è l’affetto con il quale Rai ha ricevuto i palestinesi maroniti che ha incontrato in Galilea ma il caloroso incontro che il patriarca ha avuto con i circa 3000 libanesi che nel 2000, quando Israele si ritirò dal Libano del sud, fuggirono con le truppe di occupazione sconfitte, dopo anni di guerra, dalla guerriglia di Hezbollah. Non sono persone qualsiasi. In prevalenza si tratta di ex ufficiali e soldati dell’“Esercito del Libano del sud” (Els), la milizia agli ordini, dal 1984 al 2000, di un generale disertore, Antonie Lahad, creata da Israele per controllare la cosiddetta “fascia di sicurezza” in territorio libanese. Gente che in qualche ha commesso gravi violazioni dei diritti umani a danno dei loro compatrioti. E’ ancora vivo nella memoria di tanti libanesi il ricordo della prigione di Khiam, gestita dagli uomini dell’Els, dove per anni sono rimasti reclusi centinaia di oppositori dell’occupazione, in condizioni disumane.

Bechara Rai senza dubbio è stato accolto con favore da molti palestinesi, che hanno apprezzato la sua visita al villaggio arabo cristiano di Kufr Biram, distrutto dopo il 1948 da Israele e dove i suoi abitanti originari, sfollati da decenni, chiedono con forza di rientrare. Tuttavia l’abbraccio che Rai ha lanciato mercoledi agli ex dell’Els ha destato perplessità e imbarazzo. Il patriarca ha avuto parole di conforto per gli ex miliziani. «Innocenti che hanno pagato il prezzo di un gioco internazionale e regionale», li ha descritti durante l’omelia della messa celebrata a Cafarnao. E ha assicurato che li aiuterà a tornare in patria senza subire conseguenze per il loro tradimento. Tutto ciò mentre quelli dell’Els, in questi 14 anni, si sono integrati nel tessuto sociale israeliano. Sul loro conto peraltro girano tante voci. Secondo i palestinesi della Cisgiordania, alcuni di loro verrebbero impiegati in operazioni sotto copertura dell’esercito israeliano nei Territori occupati.

Alle critiche risponde Wadie Abu Nassar che in questi giorni ha svolto il ruolo di addetto stampa di Bechara Rai. «Le polemiche sono strumentali e inutili – ci spiega – il patriarca ha svolto solo il suo ruolo di capo di una comunità religiosa e ha offerto parole di speranza e conforto non a miliziani ma a persone rientrate nella vita civile e alle loro famiglie. Non sottovalutiamo il fatto che è stato accolto anche da alcuni leader musulmani». Sullo sfondo c’è Israele che ha mantenuto una posizione di basso profilo durante tutta la visita. «Bechara Rai non ha avuto incontri con esponenti del governo Netanyahu ma da dietro le quinte Israele ha comunque gestito la scena», dice Nahed Birbas, giornalista del quotidiano online al Arabi, «l’arrivo (in Israele) del primo patriarca maronita libanese dal 1948 a oggi è comunque intepretata (dal governo Netanyahu) come una forma di normalizzazione e una sfida a Hezbollah».