Ci si sono buttati tutti a capofitto, tutti a commuoversi sulla vignetta con cui Makkox, la settimana scorsa, ha raffigurato un adolescente maliano morto nel naufragio del 18 Aprile 2015 al largo della Libia e sul cui corpo, recuperato quattro mesi dopo, trovarono una pagella scritta in francese. La vicenda è stata raccontata da Cristina Cattaneo nel suo libro Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina editore) cui «il Manifesto» ha dedicato una pagina intera (primo fra i quotidiani) lo scorso 4 dicembre, ovvero pochi giorni dopo l’uscita del libro.

IL DISEGNO di Makkox ha colori pastello che evocano le favole alla Disney e raffigura un ragazzino seduto a gambe incrociate sul fondo di un mare trasparente.É circondato da alghe, pesci e molluschi ai quali mostra la pagella. Gli abitanti marini gli dicono: «Uau…tutti dieci. Una perla rara». Sono piovuti a migliaia i «Mi piace», i «Love» e le condivisioni sui social per questa favola triste che, così raffigurata, è tanto piacitua anche ad alcuni quotidiani.
Ora, ben vengano tutte le denuncie di disumanità verso un governo che se ne frega della vita dei migranti, che li dipinge come criminali o scansafatiche in cerchia di pacchia, che fa credere che rimandarli in Libia significhi offrire loro una vita decente, che criminalizza le Ong che cercano di salvarli, però quella vignetta contiene qualcosa che mi ha fatto sobbalzare, ed ecco perché.
Chi ha letto davvero il libro di Cattaneo sa che, quando fu recuperato, il corpo di quel ragazzino aveva la mandibola e gli arti quasi scheletrizzati. Ha capito anche che cosa significa ripescare e cercare di identificare corpi rimasti sott’acqua per mesi. Non si trovano cadaveri integri e che sorridono ai pesci, ma resti in putrefazione, ossa sparse e mescolate fra loro, corpi disfatti. Chi riporta a galla e poi esamina quei pezzi di vite annegate deve fare i conti con l’odore acre della decomposizione, deve lavorare mesi per metterli insieme, identificarli e cercare di trovare i parenti. È un lavoro che mette le mani, letteralmente parlando, nella tragicità della morte e nel suo marcio, perché morire significa marcire e chi muore in fondo al mare può marcire più in fretta.

NEL DISEGNO di Makkox non c’è nulla di tutto ciò, anzi c’è il contrario, un’edulcorazione del dramma che non serve a risvegliare le coscienze, ma solo a farle commuovere raffigurando una scenetta idealizzata. È l’estetica del «Cuore in mano», della lacrimuccia, del «Oh poverino». Certo, piace e ha successo, ma imbroglia perché ripulisce l’orrore, permette di non rendersi conto davvero di che cosa significa affogare. È un po’ come quando fu diffusa la foto di Aylan, il bambino siriano annegato al largo di Bodrum, in Turchia, nel 2015. La foto di quel piccolo corpo riverso prono sulla spiaggia buttò in faccia al mondo ciò che molti non volevano guardare. Allora vi fu un dibattito sull’opportunità di pubblicare quell’immagine, si disse che non serviva mostrare quella morte per far capire che cosa stava accadendo. Questo giornale la mise in prima pagina perché era giusto far vedere ciò di cui l’indifferenza e l’ipocrisia sono complici.

CI SONO tanti modi per raccontare le storie e i fatti, dal patetico al crudo. Ognuno di noi può scegliere quello che preferisce. Ognuno di noi sa anche molto bene che in fondo, se scava, sa se vuole sentirsi narrare delle favole o la verità, se sta scappando o no da una realtà che non vuole affrontare. Da lì in poi i conti si fanno con la propria coscienza. Quelle di tanti europei, governanti e non, avranno molto lavoro, in futuro.

mariangela.mianiti@gmail.com