A Genova qualcuno si domanda se non sia in atto un esperimento psicologico collettivo, un test di pressione, per capire quale sia il livello massimo che una città può sopportare prima di esplodere. Qualcuno, più banalmente, imputa a una lotta tutta politica tra M5S e Lega lo stand-by che sta interessando, ancora una volta, le decisioni che riguardano chi è stato colpito dal crollo di ponte Morandi. Il premier Giuseppe Conte, due giorni fa, prometteva su Facebook che «a ore» avrebbe nominato il commissario straordinario per la ricostruzione. Ennesima dichiarazione smentita dai fatti. A oggi non solo quella casella prevista dal decreto Urgenze resta vuota, ma anche il nome del manager «cresciuto» sotto il viadotto Polcevera, Claudio Gemme, e che pareva mettere d’accordo tutti – pentastellati, Lega, Regione Liguria e Comune – ha perso quotazioni. In pole position è salito il sindaco Marco Bucci e, per quanto improbabile fino a poco tempo fa, questa soluzione potrebbe sortire, strategicamente, un doppio effetto positivo per il governo.

Genova incasserebbe il beau geste dopo aver chiesto a lungo di avere un commissario legato al territorio, inoltre si annienterebbero in un solo colpo sia il «Toti di lotta», che non potrebbe certo scagliarsi contro il commissario-amico, sia Bucci, che dovrebbe comunque agire nel perimetro stabilito dal decreto urgenze. Sull’attesa, ancora una volta estenuante dopo quella legata all’approvazione del decreto, il governatore ligure ieri ha provato a essere conciliante. «Con Conte c’è un dialogo serrato e costruttivo, il presidente del Consiglio non ha in questo momento un ruolo facile, è stretto tra due partiti di governo ma è una persona seria e per bene». Meno conciliante sul farraginoso processo decisionale che sta bloccando la nomina. «Su questo non vogliamo raccogliere alcuna responsabilità perché riteniamo, non tanto le persone indicate, ma l’impianto stesso del decreto fallace e molto rischioso». Non a caso lo stesso Bucci, interpellato sui rumors, dice: «Sono al servizio dei cittadini e se mi chiedessero di essere commissario non mi tirerei indietro, ma non con il decreto così come è scritto». Ma nelle ultime ore i palazzi di governo incassano un altro motivo di imbarazzo, ovvero la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati – salito a quota 21 – di un dirigente del ministero delle infrastrutture e trasporti, facente parte la direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie. I pm, al nuovo indagato, sono arrivati di rimbalzo, dopo l’interrogatorio di Bruno Santoro, manager sempre del Mit ascoltato sabato scorso a palazzo di giustizia e fino a ora, unico ad aver risposto alle domande dei magistrati. Alla base del nuovo coinvolgimento affermazioni relative alle valutazioni sulla sicurezza del viadotto. Anche su questo tema, Giovanni Toti non rinuncia a lanciare una frecciatina al ministero. «La vicenda del Morandi è complicata – le sue parole – un giorno sì e l’altro anche aumentano gli indagati e non sono tutti da parte di Autostrade ma anche da parte del controllore, vale a dire il Mit, e questo forse qualche domanda in più dovrebbe farcela porre».

Tra i dirigenti del ministero sotto indagine figurano anche il direttore generale per la vigilanza Vincenzo Cinelli, il suo predecessore Mauro Coletta, il funzionario Bruno Santoro, appunto, il capo dell’ufficio ispettivo territoriale Carmine Testa e il funzionario del provveditorato Salvatore Bonaccorso. Oltre ad Antonio Brencich, componente del comitato tecnico del provveditorato alle opere pubbliche e il provveditore Roberto Ferrazza, inizialmente componenti della commissione nominata dal Mit per fare luce sul crollo del viadotto Polcevera ma anche membri del comitato tecnico che nel febbraio scorso aveva dato l’ok al progetto di retrofitting (rafforzamento degli stralli) del ponte presentato da Autostrade.