A inizio gennaio i sondaggi lo davano per vincitore, senza nemmeno dover ricorrere al secondo turno. Poi, alcuni passi falsi, ma soprattutto l’ostruzione dei vertici locali del Pd lo hanno convinto alla rinuncia. L’ufficialità è arrivata ieri con una lettera: Mauro Salizzoni, «il mago dei trapianti» e vicepresidente in consiglio regionale, si è ritirato dalla corsa a sindaco di Torino. «Il mio profilo (umano, professionale e di passione civile), che viene visto da molte persone come un fattore di rinnovamento per la politica e per le sorti del nostro territorio, è stato ritenuto – scrive – da alcune forze politiche (in particolare dentro il Pd) come l’elemento di debolezza di una candidatura che non sarebbe adeguata a governare una città complessa. Per cui, di fronte a queste riserve, in assenza di un ampio accordo sul mio nome, non intendo essere di intralcio e preferisco farmi da parte».

È il secondo candidato «bruciato» dal centrosinistra nel giro di pochi mesi dopo Guido Saracco, rettore del Politecnico. Salizzoni era diventato il nome di riferimento dell’ala sinistra in vista delle elezioni comunali che sono slittate da giugno a ottobre. «La rinuncia di Salizzoni è una sconfitta per tutti noi. Dobbiamo fare di tutto per allargare e includere, o il quadro si complicherà ulteriormente», commentano Sinistra italiana e Articolo 1, che insieme a un gruppo di cittadini impegnati su vari fronti e a Possibile avevano lanciato un appello a sostegno del chirurgo con l’intento di formare una lista e richiedere primarie. Impegni che, alla luce della riunione di ieri sera, vengono entrambi rilanciati.

Ma proprio sulle primarie i vertici locali dei dem continuano a fare orecchie da mercante. «Con la scelta di Salizzoni si semplifica il quadro per arrivare quanto prima a esprimere una candidatura per Torino, una candidatura che sia frutto di un’intesa largamente maggioritaria se non unitaria», dichiara Mimmo Carretta, segretario metropolitano del Pd. La dirigenza dem vorrebbe premere l’acceleratore sulla scelta di Stefano Lo Russo, capogruppo in Sala Rossa e docente universitario, che non è l’unico aspirante. Ci sono, sempre del Pd, Enzo Lavolta, vicepresidente del consiglio comunale, e Gianna Pentenero, ex assessore regionale nella giunta Chiamparino, e, in quota +Europa, Igor Boni. La vicepresidente del Senato, Anna Rossomando, che all’interno del Pd aveva espresso sostegno a Salizzoni, invita a non chiudersi «nei fortini» ma a «costruire ponti». In sintonia con l’auspicio dello stesso Salizzoni nella lettera di rinuncia, in cui chiede «un coinvolgimento di tutte le istanze del centrosinistra torinese» e «una grande apertura alla società civile».

Recentemente, infine, ha fatto un buco nell’acqua la proposta della sindaca uscente Chiara Appendino che ha auspicato che Torino diventi un laboratorio per sperimentare un’alleanza stabile tra Pd, 5Stelle e Leu trovando un candidato o candidata sindaca nuova. Ipotesi che ha trovato l’apprezzamento solo di Leu e freddezza da parte dei due maggiori partner dell’alleanza giallorossa.