Scrive la presiedente della Camera che la decisione di ammettere la richiesta da parte del governo di porre la fiducia sulla legge elettorale era dovuta ai sensi dell’articolo 116 del regolamento Camera. Mi permetto di dubitare dell’interpretazione pur così autorevolmente proposta. Concordo con la presidente su due punti. In primo luogo, è vero che il richiamo all’articolo 72 della costituzione non appare decisivo, esso infatti assicura che la procedura d’esame comprenda il doppio passaggio, prima in commissione e poi in aula, non impone invece una determinata modalità di esame in assemblea (non esclude dunque l’eventualità di una richiesta di fiducia). In secondo luogo, è anche vero che il ruolo del presidente non permette una valutazione di merito nelle decisioni assunte e pertanto non è immaginabile una decisione di inammissibilità di una richiesta da parte del governo, purché essa sia conforme al diritto parlamentare. Ovviamente vale la reciproca: ogni richiesta non conforme non può essere ammessa, in nessun caso.

Dunque ciò che appare decisivo è la verifica di quanto previsto dal regolamento. E qui si manifestano le mie perplessità. Ritengo, infatti, che l’articolo posto a fondamento della decisone assunta dovesse essere diversamente interpretato. L’interpretazione fornita mi pare possa venir contraddetta sulla base di una lettura sistematica delle disposizioni regolamentari, finendo per confliggere proprio con il ruolo di garanzia che la presidenza deve perseguire nell’esercizio delle sue funzioni di direzione dei lavori parlamentari.

Secondo la presidente della Camera l’articolo 116, che individua le materie sulle quali non può essere posta la fiducia, non ricomprenderebbe le leggi elettorali sebbene si stabilisca che essa debba essere esclusa, tra l’altro, «su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto». Interpreta Laura Boldrini: nel caso della legge elettorale il volto segreto non è «obbligatorio», può però (ai sensi dell’articolo 49 del regolamento) esserne «fatta richiesta». Pertanto un voto segreto non necessario, ma eventuale. L’aspetto che a me pare decisivo è il seguente: l’articolo 116 richiamato non specifica se l’esclusione della fiducia debba essere limitata ai voti obbligatoriamente segreti ovvero debba ricomprendere tutti i casi di votazione a scrutinio segreto permessi dal regolamento (anche quelli a richiesta, dunque). Il termine «prescrivere», utilizzato dal regolamento, ha infatti un doppio significato tanto di «obbligare» quanto di «stabilire». In questa situazione quali sono i più corretti criteri ermeneutici che dovrebbe impiegare chi rappresenta l’istituzione parlamentare?

A mio parere quelli che meglio garantiscono il libero e ordinato dibattito parlamentare, nonché preservino l’autonomia della Camera. Per questo si sarebbe dovuto interpretare in maniera estensiva la disposizione regolamentare, escludendo l’ammissibilità della richiesta di fiducia anche nei casi di votazioni segrete a richiesta. Questa mi appare l’interpretazione sistematica più corretta anche in ragione del ruolo di garanzia che esercita il presidente di assemblea parlamentare. Questi ha come compito istituzionale quello di assicurare lo svolgimento delle discussione e salvaguardare l’autonomia del parlamento. Prescindendo da ogni valutazione di natura politica o di merito, dunque, può affermarsi che la richiesta della fiducia nel nostro caso (tanto più in assenza di pratiche ostruzionistiche o ragioni d’urgenza) ha rappresentato una modalità da parte dell’istituzione governo di comprimere artificialmente (e, secondo me, in modo illegittimo) la libera discussione parlamentare, nonché il regolare svolgimento delle votazioni (che – si ripete – in materia elettorale ammettono a richiesta il voto segreto). A quest’esito credo che legittimamente la presidente si sarebbe potuta opporre per preservare l’autonomia dell’organo costituzionale della quale è garante.

Non credo peraltro che i precedenti da molti evocati potessero costituire un vincolo. Almeno i precedenti più significativi, quelli direttamente collegati alla particolarissima materia elettorale. Certamente non il precedente sulla legge Acerbo, visto il diverso regime costituzionale entro cui fu ammesso il ricorso alla fiducia. Neppure quelli del 1953 riferiti alla legge truffa, perché le regole parlamentari sono nel frattempo mutate. Dunque nessuna prassi consolidata ritengo possa farsi valere per giustificare una decisione di ammissibilità della richiesta di fiducia.
Può dirsi che vi sia un’ambiguità nella formulazione letterale della disposizione. Tant’è che – come ricorda la stessa presidente Boldrini – nella proposta di riforma del regolamento della Camera, elaborata dall’apposita giunta, si chiarisce espressamente che «la questione di fiducia non può essere posta su progetti di legge costituzionale o elettorale». Un chiarimento opportuno che però a me non sembra renda evidente che il testo ora vigente preveda la regola inversa. Anzi, in caso, ciò poteva sollecitare ad un’interpretazione nel senso auspicato più chiaramente per il futuro.

Da ultimo, posso comprendere che di fronte ad un caso così delicato, chi rappresenta l’istituzione voglia decidere non in solitudine. Ebbene, mi chiedo, perché almeno non si è convocata la giunta che ha istituzionalmente il compito di fornire i pareri sulle questioni di interpretazione del regolamento? Almeno questo poteva essere concesso, prima di decidere da sola – com’è pur sempre legittimo, s’intenda – sull’ammissibilità della fiducia, accettando di fatto una forzatura del governo a danno dell’autonomia del parlamento e a scapito del rispetto del principio del libero confronto parlamentare. Tanto più se si voleva concorrere a superare una situazione che giustamente «preoccupa» la presidente della Camera, così come tutti noi.