Superbad? «Mi piaceva, ma forse per la regioni sbagliate». La parodia della «bibbia del wasp» d’inizio anni ottanta, The Preppy Handbook? «Allora una burla divertente, oggi il documento ambiguo di un momento di transizione che avrebbe aperto la via a un capitalismo più rapace e instancabile di quello che il libro stesso si auspicava». Così scrivono rispettivamente i giornalisti Aisha Harris e James Poniewozik nei primi due capitoli di Yesterday Pop Culture Reconsidered Today, una nuova iniziativa del «New York Times» intesa a riesaminare fenomeni della cultura popolare del passato alla luce del presente.

Per presente si intende, ovvio, il filtro della politica delle identità e del Politically correct che il «NYTimes» applica ormai inflessibilmente a qualsiasi tipo di valutazione delle arti, e alle scelte editoriali che le riguardano. In quell’ottica, Harris scrive che la commedia demenziale con Jonah Hill e Michael Cera «regge ancora», pur rammaricandosi di non aver individuato, prima di postare i suoi commenti entusiastici su Facebook, «una latente omofobia del dialogo» o il fatto che trattasse essenzialmente di un mondo di maschi e non di ragazzine, come quello riflesso invece dalla commedia Booksmart, uscita qualche mese fa.

Da parte sua, Poniewozik, dopo aver riconosciuto le insidie nascoste tra le pagine del manuale satirico di Lisa Birnbach (vendette oltre un milione di copie), si felicita perché anche da ragazzo era dalla parte del «giusto» -non con i detestabili preppy (ma chi ha mai tenuto per loro?) – bensì per le loro nemesi, i Delta di Animal House, i pacifisti di Doonesbury, i soldati irriverenti di M*A*S*H.

Essere dalla parte del giusto, e soprattutto «dei giusti» è una delle ossessioni dell’odierna sinistra Usa, l’istantanea di un mondo in cui le qualità e i valori individuali si definiscono non secondo valutazioni personali o/e originali ma per associazione – come i likes e friends di Facebook- e con conseguenti implicazioni morali. Cosa mangi, cosa vesti, quale tipo di pop cultura consumi, chi voti (è il punto dolente) riflettono se sei o meno una persona «giusta».

Frutto – oltre che della psicologia tribale istigata dai social, dello shock per l’elezione dell’anticorpo trumpiano – questo spasmodico bisogno di essere «buoni» promuove ogni sorta di mea culpa rivolti al passato, in cui le passioni di un tempo diventano imbarazzanti guilty pleasures. Yesterday Pop Culture Reconsidered Today è infatti la discendenza diretta di un articolo in cui la critica cinematografica Manohla Dargis riconsiderava classici che aveva molto amato alla luce del loro trattamento delle donne -a partire dal famoso bacio tra John Wayne e Mureen O’ Hara in Un uomo tranquillo, che, con il buon senso di oggi, Dargis definiva «a little rapey», un po’ stupresco.

Nello stesso spirito, il collega A.O. Scott ha dedicato un intero articolo a disconoscere tutta l’opera di Woody Allen con cui è cresciuto e, nella recensione di C’era una volta a.. Hollywood, un film che chiaramente gli è piaciuto molto, si è sentito in dovere di specificare che si tratta sostanzialmente di un prodotto «reazionario», perché i protagonisti sono due uomini bianche di mezza età.

Con 90 milioni in incassi dopo due sole settimane in sala, il film di Tarantino è l’unico grande successo dell’estate che non è l’ennesimo capitolo di una franchise, il prodotto di un autore di visione estremamente personale, e che sa fare anche box office. È un oggetto che dovrebbe dare speranza nel futuro di Hollywood e il cui successo crossover (critico e di pubblico) dovrebbe dar da riflettere non solo alle pagine cultura del «NY Times» ma anche a quelle politiche. Invece no: «Per Tarantino le donne sono solo un attrezzo di scena?» si chiedeva la copertina del supplemento Arti di giovedì.

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