Gli attuali eventi socio politici ed economici neo-liberali, l’enorme diffusione dei mezzi di comunicazione e l’influenza dei media sulla vita di ogni giorno sono indicati come i vettori che determinano i processi mentali e spirituali dell’intera umanità. Uno di questi processi alterati è comunemente chiamato «la crisi della perdita di memoria e del ricordo». Attraverso alcuni interventi deformanti, si è portati a pensare che la storia possa fornire identità e consapevolezza di sé, ma la funzione che è costretta ad assolvere è un’altra: fornire una memoria degli eventi per fissare nuovi valori e norme, valide per il presente e il futuro. Le arti visive intervengono in questo contesto critico ed epistemologico rappresentando una mediazione, offrendo una coscienza e una funzione chiarificatrice.
Reclusione e diversità
Una di queste opere, con una forte connotazione socio-politica e culturale che affonda nell’attualità della Turchia contemporanea, è ora proposta a Venezia, in occasione della 55/ma Esposizione internazionale, dove il pubblico globale dell’arte si ritrova per assistere alle ultime e più influenti produzioni degli autori di tutto il mondo.
Il lavoro centrale di Ahmet Günestekin, Monumentum of Memory – costituito dai lavori Confrontation (un’installazione a parete di grandi dimensioni), Recm (lapidazione: sbarre di un carcere che imprigionano lettere di legno) e una serie di video – illustra una convinzione, un messaggio e una previsione basati su un’esperienza autobiografica e una ferma posizione politica.
Il suo debutto sulla scena artistica avvenne nel 2003 con un ciclo di dipinti su tavole di legno di grandi dimensioni caratterizzati da un’estetica che rifletteva la natura astratta, le figure mitologiche e le icone religiose con un riferimento – sia testuale che simbolico – a un possibile superamento di un orribile passato. Günestekin è oggi uno degli artisti più famosi e affermati della scena creativa di Istanbul. Dopo dieci anni di instancabile produzione e numerose esposizioni locali e internazionali, il pubblico può finalmente ammirare le sue opere e il suo atteggiamento propositivo.
Günestekin utilizza le implicazioni decorative dell’arte astratta e firma i suoi dipinti con sfere colorate, che simboleggiano il «sole» dell’Anatolia e della Mesopotamia, con tutti i suoi miti. Sfodera le tecniche di arti e mestieri tradizionali dell’Anatolia. La sua scelta stilistica è dettata da ragioni autobiografiche. L’artista è nato e cresciuto a Batman, nei campi di lavoro di Garzan, da una famiglia numerosa. Il padre doveva provvedere al mantenimento dell’intera famiglia contando solo sul suo salario; ma era abbastanza lungimirante da incoraggiare il figlio a dipingere sulla carta ruvida e grezza dei sacchi di cemento che conservava per lui. Può darsi che l’artista abbia trovato la sua identità di «dissidente» attraverso la pratica di questi suoi primi disegni, che accompagnavano gli eventi sociopolitici della Turchia del XX secolo. Successivamente, pagherà la sua «diversità» con la reclusione nel penitenziario di Diyarbakir, un luogo che oggi sta per essere trasformato in un museo commemorativo.
Günestekin definisce molto chiaramente il contesto concettuale del suo lavoro, sostenendo che «esistono due possibilità per affrontare realtà ed eventi passati e presenti: continuare a piangersi addosso o iniziare a ridere». La sua esperienza da dissidente politico gli ha insegnato che «è contro la natura umana essere pronti a fare la guerra; il termine stesso ’essere pronti’ racchiude in sé una connotazione corrotta, allo stesso modo della ’sensibilità’ frequentemente esibita dai politici». Per lui, questi sono soltanto i mezzi di una politica immorale.
I lavori presentati a Venezia si discostano dalle sue serie su astrazioni enigmatiche, mitologiche, floreali e ornamentali. Mentre l’installazione a parete è una superficie riflettente di confronto, che presenta una mediazione e una spiegazione dei processi distorti, i video ricostruiscono le dettagliate strategie che conducono alla omogeneizzazione della cultura. Qui l’artista crea una dicotomia tra riconciliazione (la superficie astratta) e reazione (la gabbia e i video).
Tradizione e nuove economie
Nell’installazione a parete Günestekin rivela essenzialmente il suo interesse nell’esprimere le emozioni umane basilari – tragedia, estasi, sventura – costruendo un muro riflettente che, quando è fronteggiato dall’osservatore, si suppone generi le stesse emozioni e i medesimi ricordi. Il secondo intento è lo sforzo di rivelare la verità all’interno di una storia falsata, così com’è stata vissuta in Turchia. L’artista si rivolge al pubblico, lo invita a prendersi un momento di calma, una pausa e lo incoraggia ad assumersi il rischio di approfondire: «Cosa è successo?», «Cosa sta succedendo?» e «Cosa può succedere?». È un invito a pensare senza condizionamenti.
Le vaste dimensioni dell’opera creano uno spazio insolito all’interno della galleria stessa, comunicano il potere dell’inconfondibile scontro tra la struttura dell’opera e il gradimento di chi guarda. La superficie di questa installazione è costituita da dischi scolpiti verticali, esili, che raffigurano silhouette schematiche di città mediorientali, con simboli religiosi e specchi. Il materiale base dell’opera, il legno, è completamente ricoperto di sostanze derivate dal petrolio. L’artista, in questo modo, produce un confronto tra la tradizione che sopravvive e l’economia nociva.
Questo caratteristico formato di grandi dimensioni è particolarmente coinvolgente per l’osservatore. Di fronte a questo potente bassorilievo, si corre però il rischio di soffermarsi sulla frammentazione irregolare della superficie, non riuscendo facilmente a capire l’intenzione più profonda dell’artista. Che in realtà è duplice: attraverso il potenziale della sublimazione e dell’interiorizzazione indiretta dell’astrazione, Günestekin manifesta una affinità con il canone modernista. In veste di artista fedele al campo dell’immaginario tradizionale epico e mitologico, preferisce mascherare – piuttosto che ostentare – il senso depressivo del ricordo, spesso colmo di eventi raccapriccianti.
L’opera tridimensionale – la gabbia di ferro riempita di lettere di legno nero – rivela l’ossessione di Günestekin per il linguaggio, insieme al trauma che ha costretto le comunità multi-culturali dell’Anatolia all’acquisizione di «un solo e unico linguaggio». Questo lavoro si ricollega ai video intitolati Fischietto, Negazione, e Memorie. Il riferimento è al contesto storico della grande installazione a parete e alle deformazioni psico-sociologiche dell’ideologia uniforme dello Stato-nazione.
La video installazione Memorie, con le date cruciali di momenti storici drammatici e le tetre musiche popolari, è posta di fronte all’astratta installazione a parete, a rappresentare un legame con la storia dei curdi in Anatolia e in Mesopotamia. Tra le varie date dei massacri, l’opera vuole commemorare soprattutto il genocidio curdo che avvenne l’1 marzo 1988, durante l’ultimo giorno della guerra tra Iran e Iraq, quando le forze governative irachene usarono armi chimiche nella città curda di Halabja, in Iraq.
Il ricordo è nero
In un’intervista, l’artista ha espresso così la sua pena: «Non abbiamo potuto scegliere le nostre madri e nostri padri, non abbiamo potuto scegliere la terra in cui siamo nati, non abbiamo potuto scegliere la razza o la lingua delle persone che vivono sullo stesso territorio. Eppure, quando abbiamo il potere, critichiamo le persone per la loro razza e la loro lingua e le condanniamo alla tortura e alla morte».
Nero, come testimoniato dalle lettere e dalla lavagna, è il colore dei ricordi subliminali di Günestekin e delle comunità. Un colore che indica un netto contrasto con i suoi variopinti dipinti astratti. Nei video, la lotta dell’individuo di fronte alla lavagna, per risolvere l’incongruità o il divario tra la lingua madre e la lingua di assunzione, è rappresentato dall’umorismo nero, ma evidenzia anche la resistenza delle persone all’assimilazione.
Lo sguardo estetico – anche se produce una finzione – che si posa sulla storia nascosta e negata, sugli oscuri e sconosciuti labirinti della civiltà umana, ha il potere di rallentare per un attimo l’insopportabile flusso della storia e dare all’individuo la possibilità di determinare la sua controversa posizione nel procedere continuo della storia. Gli strumenti creativi, in questo caso, aiutano l’individuo a liberarsi dall’indiscutibile e sovrana esistenza della Storia.