Cave e miniere sono ferite nel territorio che raccontano un passato di duro lavoro e una pesante eredità in termini occupazionali e ambientali.
Talvolta però da un contesto problematico possono emergere nuove opportunità che riqualificano le attività sul territorio: un passaggio dall’industria al turismo che recupera un patrimonio non solo economico, ma anche storico-culturale.

Un bell’esempio in tal senso è dato dalle miniere di Darzo, paese trentino della valle del Chiese che costituisce la continuazione della val Sabbia, in provincia di Brescia.

Verso la fine dell’Ottocento tutta la regione fu interessata da fortissimi fenomeni migratori: migliaia di persone iniziarono a cercare fortuna o più semplicemente provarono a sfuggire alla miseria, lavorando nelle cave e nelle miniere del nord Europa e del continente americano.

L’attività estrattiva tuttavia si sviluppò nello stesso periodo anche in ambito locale, come per esempio nelle miniere di barite di Darzo. Pochi anni dopo, nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali, in valle furono avviati anche gli impianti di lavorazione, con il completamento del ciclo produttivo.

Il solfato di Bario si presenta come una pietra dall’elevato peso specifico, rintracciabile in natura prevalentemente in venature nei calcari e nelle dolomie. In passato la barite veniva utilizzata sopratutto nella produzione di vernici e pitture; è stata però largamente impiegata anche come schermatura nelle attrezzature radiologiche e continua ad avere svariati diversi utilizzi sia in ambito medico che nel settore delle perforazioni petrolifere.

«La prima galleria è del 1894, inizialmente la barite veniva macinata direttamente nei mulini già esistenti – spiega Emanuele Armani, presidente dell’associazione Miniere Darzo che si occupa di valorizzare il patrimonio ereditato dalla comunità. Gradualmente, grazie alle tre imprese attive nei vari filoni presi in concessione, l’attività estrattiva aumentò: ci fu lavoro per i locali e per manovalanza proveniente dal lecchese, ma parallelamente furono realizzati anche gli impianti di lavorazione in loco. Si creò un indotto importante e oggi come oggi si può davvero dire che gli abitanti di Darzo sono in gran parti figli di quelle miniere: un po’ tutti hanno avuto parenti che sono stati impiegati a vario titolo nella produzione di barite. L’attività proseguì in maniera importante per decenni, quindi calò sul finire del secolo scorso; nel frattempo l’economia del posto era già cambiata. Dopo un periodo di emancipazione, quasi di rimozione del passato, oggi anche culturalmente invece si cerca di recuperare una memoria che è parte integrante della nostra storia, nel bene e nel male».

Parecchie centinaia di persone furono impiegate fin dal periodo a cavallo delle due guerre e se si pensa che Darzo contava poco più di 600 abitanti, anche l’impatto demografico sulla valle fu notevole. «La barite di Darzo era di alta qualità, per la sua purezza che le conferiva il caratteristico colore bianco».

Gli impianti di estrazione rimasero attivi fino al 2009, quando chiusero definitivamente per l’esaurimento della miniera. Nel frattempo l’industria locale, fortemente ridimensionata, ha continuato a lavorare con barite d’importazione, mentre era già iniziato un lavoro di recupero e riutilizzo dei siti in ambito turistico.

Oltre ottant’anni di storia sono un patrimonio culturale importante da conservare e tramandare nel tempo, per una comunità che oggi è tornata a sentire le proprie tradizioni. Il simbolo di questo legame emerge ogni anno in particolare con la festa di Santa Barbara, protettrice di artificieri e minatori. La ricorrenza anima Darzo ogni 4 dicembre ed è ancora un importante momento di incontro, celebrazione e condivisione per la gente del posto.

Attualmente l’associazione Miniere Darzo organizza visite guidate al paese di Marìgole, il villaggio dei minatori sito sopra Darzo. Molte altre tracce dell’attività estrattiva sono presenti anche a Pice o a Val Cornera, ma Marìgole rappresenta il centro più importante di tutta la zona. Il percorso si snoda tra abitato e bosco, natura e opera umana.

L’inizio della visita è proprio a Darzo, dove la pro loco ha creduto nel proprio patrimonio culturale e sostenuto la realizzazione di affascinanti murales, pagine di storia dell’oro bianco dipinte sui muri delle case. La conclusione del tragitto è alle miniere stesse: «I minatori abitavano a Marìgole dal lunedì al venerdì, la produzione andava avanti anche tutto l’anno – prosegue Armani – oggi le gite organizzate permettono di vedere gli impianti, l’attrezzatura usata, le case del villaggio; i visitatori vengono portati fino all’imbocco delle gallerie. Si tratta di un itinerario fisico, in parte nella natura; ma è anche un percorso di apprendimento graduale. I nostri ospiti iniziano l’esperienza come i bocia di un tempo, i ragazzi che entravano da apprendisti nella miniera, per imparare un po’ alla volta i tanti aspetti di questa attività».

L’associazione – nata nel 2005 – ha inoltre raccolto negli anni oltre 140 testimonianze orali, prima che inevitabilmente vadano perse per sempre con il trascorrere del tempo: «Racconti di ex minatori, operai, teleferisti, autisti, impiegati e padroni: un’intera comunità che ruotava intorno all’attività estrattiva. Tra le tante figure impiegate c’erano le cernitrici: si trattava di una delle prime possibilità occupazionali per la popolazione femminile locale, prima di allora relegata esclusivamente alle attività domestiche e contadine».

Attualmente è in corso anche il ripristino degli stessi siti estrattivi, in modo da renderli pienamente accessibili a turisti e studenti. Le gallerie un tempo si addentravano per oltre un chilometro e mezzo all’interno della montagna; successivamente parte di quei condotti è crollata o è stata fatta brillare, per impedirne l’accesso una volta cessata l’attività.

A oggi però è già stata realizzata la messa in sicurezza di alcuni tratti e un ulteriore restyling garantirà un percorso guidato di diverse centinaia di metri nel cuore della montagna: «Stiamo parlando con potenziali investitori per rendere l’esperienza della visita più appagante anche dal punto di vista sensoriale, realizzando un progetto che possa far vivere non solo dal punto di vista visivo – ma anche dei suoni e degli odori – tutto un mondo sotterraneo di grandissimo valore».