Il suo nome ufficiale è Pass culture, e in Francia, quando è stato varato lo scorso maggio, l’hanno presentato come una rivoluzione, anche perché Macron ne aveva fatto un punto forte del suo programma: un buono da 300 euro che consente ai diciottenni d’oltralpe «di scoprire e di accedere a loro piacimento nell’arco di 24 mesi a proposte culturali di prossimità e a offerte digitali (libri, concerti, teatri, corsi di musica, abbonamenti eccetera)». In realtà la misura è quasi una fotocopia della nostrana 18 app, in vigore dal 2016, da quando cioè il governo Renzi ha inserito nella legge di stabilità il «bonus cultura» – che in Italia ammonta addirittura a 500 euro – con toni altrettanto enfatici: «I diciottenni sono un simbolo. Vorrei che andassero a teatro. Diamo un messaggio educativo come Stato, quello che le mostre sono un valore bello. Diciamo ai ragazzi che sono cittadini e non solo consumatori», aveva dichiarato nel dicembre 2015 l’allora presidente del consiglio.

Già, ma di cosa parliamo quando parliamo di (bonus) cultura, beninteso quando a nessuno – per fortuna – viene voglia di mettere mano alla pistola? È questa la domanda implicita in molti commenti usciti sui media francesi riguardo al modo con cui è stato finora utilizzato il Pass culture. «Una manna per la generazione manga», grida l’Express, mentre Le Monde titola dando la parola a uno dei giovani beneficati: «Mi sono comprato tutto Stone Ocean senza rovinarmi». Pare infatti, stando ai dati riportati dal sito Actualitté, che oltre due terzi dei libri acquistati dagli adolescenti francesi con il bonus siano fumetti giapponesi – una scelta del tutto rispettabile, ma che va a premiare un settore editoriale già molto forte in Francia (circa il 15 % del mercato complessivo) e che con ogni probabilità non coincide con le aspettative di Macron.

Alla vicenda Aurélien Breeden, corrispondente da Parigi del New York Times, dedica un articolo in cui riporta alcune critiche ricorrenti in questi giorni, prima fra tutte che «lasciare 825.000 adolescenti con denaro a disposizione e aspettarsi che abbandonino la multisala più vicina per entrare in un cinema d’essai è un ingenuo spreco del denaro dei contribuenti».
Jean-Michel Tobelem, docente di economia della cultura all’università Paris 1 Panthéon-Sorbonne, si dice convinto che il Pass culture (ormai da molti ribattezzato «Pass manga») andrà a vantaggio della cultura mainstream: «Certo, puoi approdare alla cultura coreana attraverso il K-Pop e poi scoprire che c’è un’intera cinematografia, una letteratura, e pittori e compositori che l’accompagnano», ma l’app offre pochi incentivi «per affrontare opere più impegnative a livello artistico». E Pierre Ouzoulias, senatore del Partito comunista francese, afferma che «i ragazzi delle case popolari si orienteranno verso quello che già conoscono». Pareri ovviamente positivi vengono invece dai librai, in particolare gli indipendenti, che si ritrovano una carta in più per contrastare il gigante Amazon, e soprattutto dai diretti interessati, i diciottenni: «Un’iniziativa eccellente», dice Juliette Sega, avida lettrice di fumetti giapponesi e di romanzi distopici.

Se manga e narrativa di genere possano rappresentare la strada maestra per letture più complesse è questione controversa che non affronteremo qui. Sarebbe però interessante sapere se e in quale misura la diffusione della 18app, cui si attribuiscono almeno in parte i buoni risultati di vendite e di lettura in Italia nel 2021, abbia giocato un ruolo anche nell’aumento esponenziale del mercato di graphic novels e libri a fumetti nel nostro paese (+ 42 % tra il 2020 e l’anno precedente).

* «Express» va in vacanza. Arrivederci a giovedì 19 agosto.