Le 76 associazioni di protezione ambientale riconosciute dal ministero della Transizione ecologica contano in Italia circa un milione e mezzo di iscritti. Molti di più del totale dei tesserati ai partiti politici. Se consideriamo anche la galassia di movimenti, formali e informali, comitati, gruppi di cittadini che si mobilitano sui territori in difesa di scempi ambientali, per l’agricoltura biologica, per le filiere etiche, per l’acqua pubblica, contro inceneritori, aeroporti e grandi opere inutili, per i diritti degli animali, per l’aria, il suolo, i mari e le montagne, contro i cambiamenti climatici, il numero sale e sfiora il totale degli iscritti alle forze sindacali.

SENZA UN PARTITO VERDE che li rappresenti, senza partiti che pongano con forza la questione ambientale al centro del dibattito politico, senza sindacati che impostino le vertenze inglobando la dimensione ambientale, le istanze di milioni di persone rimangono senza voce, la difesa e il ripristino dell’ambiente lettera morta. Il rischio di fare la transizione ecologica senza gli ecologisti è reale, e non privo di conseguenze. Senza elaborazione, senza conoscenza e senza trasformazione difficilmente andrà nel segno della giustizia sociale e ambientale.

«UN SISTEMA POLITICO BASATO su partiti padronali e plebiscitari, dove a contare sono i voti che porti, più che gli ideali, dove non si parla altro che di correnti, non aiuta a far emergere come centrale la questione ambientale – dice Sergio Gentili, fuoriuscito dal Pd di cui è stato deputato, autore di diversi saggi su sinistra ed ecologia – eppure ci sarebbe grande bisogno di un partito che rappresenti questa sensibilità diffusa nel paese. L’ecologia crea lavoro, migliora le condizioni di vita, porta all’innovazione, tutela la salute, pone condizioni per l’uguaglianza. E’ una grande idea, se c’è una visione. Una vertenza sui trasporti non può limitarsi ai diritti e alle condizioni salariali di chi lavora, ma deve anche porre il problema degli strumenti di mobilità e dell’inquinamento delle città, altrimenti è parziale». Secondo Gentili gli ecologisti sono rimasti minoritari, per non dire scomparsi (dopo Edo Ronchi nessuno ha più ricoperto dal 2000 incarichi di governo) perché hanno perso una lotta politica all’interno dei partiti di sinistra, sono stati sconfitti. Ma la storia non è finita.

AD EMERGERE COME formazione di stampo ecologista, almeno agli esordi, erano stati i 5 Stelle. «Nato da movimenti decentrati locali che avevano occupato spazi sui temi ambientalisti – è l’analisi di Donatella Della Porta, preside di Scienze Politiche alla Scuola Normale Superiore e studiosa dei movimenti – il M5S rappresenta l’unica esperienza di successo di un partito tendenzialmente verde. Ora non vengono più percepiti come tali perché con l’ingresso nel governo le loro posizioni si sono molto annacquate e si è imposta l’etichetta fuorviante di populisti».

SE IN ITALIA NON C’E’ UN PARTITO verde, secondo Della Porta non è a causa della frammentazione e diversità della galassia ambientalista. Le ragioni vanno ricercate «in una leadership molto debole, nel fatto che nei momenti in cui poteva emergere una forza verde c’erano già altri partiti (rossi) che occupavano quegli spazi, e nelle scelte di grosse associazioni ambientaliste, come Legambiente, di essere collaterali al Pd senza creare alternativa».

ACCUSA RESPINTA da Stefano Ciafani, presidente di Legambiente Italia. «Questa critica ci veniva fatta 15 anni fa, la storia è andata avanti. Noi non siamo collaterali a nessuna forza politica: basta leggere che posizioni abbiamo preso sullo Sblocca Italia, sulle trivelle o sul condono post-terremoto a Ischia concesso dal Conte 1. Sugli immigrati, quello che diciamo a Salvini lo avevamo detto anche a Minniti. Possiamo dire che pure i Verdi hanno fatto delle sciocchezze, come schierarsi contro la legge sugli eco-reati nel 2015 che poi fortunatamente è stata approvata. Oggi un partito verde servirebbe eccome. Speriamo che almeno una delle diverse iniziative su cui lavorano i 5S, Letta, Sala e il gruppo FacciamoEco vada in porto. Noi lo diciamo da anni osservando il fenomeno dei partiti Verdi presenti in quasi tutti i paesi. Mai come in questo momento c’è bisogno di una rappresentanza politica del mondo ambientalista, delle aziende dell’economia verde e di chi pensa che la transizione debba essere giusta. Ma serve un partito verde radicale, perché è il momento di scelte radicali. Per l’idrogeno verde, e non «ma anche» blu, per le rinnovabili, ma non «ma anche» per il gas. L’era del «ma anche» è finita».

A FARE IL PARTITO VERDE non ci pensano i Fridays For Futures (FFF), il movimento dei giovani che sono scesi in piazza per il clima e non si sono fatti spiazzare dal Covid, continuando mobilitazioni ed elaborazione. «Non abbiamo intenzione di diventare un partito e vogliamo continuare ad essere a-partitici, né daremo indicazioni di voto – dice Martina Comparelli, 24 anni, uno dei 6 portavoce di FFF Italia – Vogliamo continuare a impegnarci per la causa climatica: nella storia la resistenza a livello civile ha dimostrato quanto può plasmare la politica. Il presidente dell’Opec ha dichiarato che la più grande minaccia per l’industria fossile non è la politica, ma la mobilitazione di massa».

I FFF SONO LA NEXT GENERATION EU, ma non sono stati consultati – almeno per ora – dal governo Draghi sul Pnrr. «Speriamo che il governo ci chiami, per ora non lo ha fatto. Noi siamo qui e di cose da dire ne abbiamo: non siamo solo arrabbiati, abbiamo idee e proposte elaborate con gli scienziati. Quello che manca è un dibattito pubblico serio e informato. Sui media leggiamo solo notizie iper-semplificate che non sono adeguate a spiegare un problema complesso come quello del clima e in tv non si chiede mai l’opinione di noi giovani».

AD ESSERE SCONCERTATA della mancanza di attenzione del governo per i giovani è anche la presidente di Federbio, Maria Grazia Mammuccini. Nei giorni scorsi, per mettere all’attenzione del governo il comparto del biologico, in mancanza di rappresentanti sensibili, ha dovuto prendere carta e penna e scrivere a Draghi insieme con Aiab, AssoBio e AssoBiodinamica, 80 mila imprese certificate, completamente ignorate nelle bozze del Pnrr. «I giovani che decidono di lavorare in agricoltura scelgono il biologico – dice Mammuccini – La transizione ecologica, di cui tanto si parla, in agricoltura è già iniziata con il biologico, ma non viene considerata un valore da incentivare. Eppure la domanda di mercato continua ad aumentare e l’Ue sta impostando atti strategici che indicano la necessità di far crescere l’intero comparto. Finché c’è stato un partito verde il bio è stato sostenuto, ma ora la rappresentanza trasversale che c’è in Parlamento è troppo debole. La legge sul biologico è ferma dal 2018».

CON LE QUESTIONI AMBIENTALI che rimbalzano addosso alle élite politiche, la Transizione ecologica che verrà resta una chimera. «Il problema è l’analfabetismo della classe politica sull’ambiente – dice Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. «Abbiamo grandi intellettuali che non hanno mai scritto una riga, per esempio, sul cambiamento climatico, relegandolo in un ambito puramente scientifico, mentre si tratta di un tema politico, economico e sociale. Questo accade a destra come a sinistra. In altri paesi anche le destre si occupano attivamente dell’ambiente, magari per difendere certi interessi come il nucleare, ma almeno affrontano i temi e non si limitano a sbeffeggiarli». In compenso, secondo Giuseppe Onufrio, in Italia c’è una parte del mondo imprenditoriale, internazionalizzato e aperto, che è molto più attento e consapevole sui temi ambientali «mentre la politica si dimostra debole rispetto ai pochi grandi gruppi industriali che, in retroguardia sul clima, continuano ad imporre il gas».

NONOSTANTE TUTTO, ALCUNI anni fa c’è stato un intergruppo parlamentare che si è occupato di ambiente che qualche risultato lo ha ottenuto, ricorda Gaetano Benedetto, presidente del centro studi del Wwf Italia. «Non saprei dire se oggi serva un partito verde in Italia per la Transizione ecologica: sicuramente serve trasversalità tra i partiti, sicuramente serve un soggetto istituzionale forte che si faccia carico prioritariamente dei temi della sostenibilità – sottolinea Benedetto – e servirebbe rivedere la riforma del Titolo V della Costituzione che ha spalmato le competenze tra le regioni rendendo il ruolo dello Stato molto più debole sui temi della salvaguardia ambientale. Per fare un esempio, sono state smantellate le foreste statali, beni di continuità per eccellenza, che non possono essere gestite se non in maniera omogenea».

SOTTO LA LENTE DELLE SCELTE ambientali, la classe politica italiana si rivela in tutta la sua debolezza. «Non è riuscita nemmeno a fare politiche efficaci contro il traffico – dice Della Porta – tanto è dipendente dalle clientele locali o dai voti dei commercianti. In Italia abbiamo partiti nati deboli, come il Pd, che non hanno avuto la capacità di riflettere su una strategia elettoralmente vincente. Dall’esecutivo di Mario Draghi non mi aspetto granché: è uno dei governi a più bassa qualità degli ultimi anni, basta guardare alla lista dei sottosegretari».

PER USCIRE DALLE SECCHE, per Donatella Della Porta servirebbero almeno delle sfere pubbliche dove i dibattiti sulle questioni ecologiche si possano fare in modo serio, senza retorica emotiva e al riparo dagli interessi economici forti.