Il temuto ostruzionismo? Robetta. Tra canguri, tagliole e inamissibilità per regio decreto se in due anni le opposizioni sono riuscite a spuntare una settimana già devono brindare. La pietra al collo del bicameralismo perfetto? Leggende metropolitane. Con i metodi spicci che tutti i governi adottano da lustri e che Matteo il Celere ha portato alle estreme conseguenze, le leggi, anzi i decreti legge, andrebbero a passo di carica anche se le camere fossero quattro. Fatti i debiti paragoni con la media delle «grandi democrazie europee», corrono che è una bellezza.

Se il velocista di palazzo Chigi volesse davvero capire cosa ingombra le procedure istituzionali nella legislatura in cui lui stesso fa di solito il bello e il cattivo tempo, dovrebbe guardare se non proprio in casa propria almeno nel cortile, al secolo nella sua maggioranza. Ci troverebbe un partito che non si è mai presentato alle elezioni e se lo avesse fatto avrebbe ramazzato briciole, che nel Paese conta poco più di zero ma in Parlamento è una potenza e che, in un poco roseo futuro, secondo i sondaggi unanimi veleggia sotto il 2% dei consensi: l’Ncd di Angelino Alfano.

Il danno che i seguaci dell’ex delfino riescono puntualmente a fare è inversamente proporzionale alla loro rappresentatività reale. Il pasticcio del ponte sullo Stretto, «perché non farne una rotaia gigantesca, da Guinnes dei primati?», è solo l’ultimo in ordine di tempo, il freno alla legge sulle unioni civili quello immediatamente precedente, e a guardare ancora più indietro la lista diventerebbe troppo lunga. Inesistenti e inconsistenti, gli audaci ex azzurri tengono in vita il governo. Un po’ tocca ascoltarli. Se il guaio si limiterà a una defatigante trattativa sarà grasso che cola: il rischio che riescano a trasformare la rotaiona in mangiatoia per le mafie da entrambe le parti dello Stretto è esiguo ma non inesistente.

Va bene, riconsoliamoci pensando che dureranno poco. Le elezioni, quando si degneranno di arrivare, da quelle parti sono giustamente viste come il fatidico momento dell’esecuzione capitale. Però converrebbe andarci cauti anche con la consolazione. Non spariranno. Berlusconi, che persino in stracci al confronto è sempre un imperatore, nemmeno più li calcola: quando vagheggia un’alleanza tra moderati ed estremisti nella prima casella vede se stesso e i residui del suo partito-azienda, certo non l’armata Brancaleone di Angelino il Fedifrago. Una parte tornerà all’ovile e sarà anche accolta: ma dovranno arrivare col cappello in mano e senza simboli di partito da affiancare a quelli di Arcore e Pontida.

Parecchi, però, sceglieranno la direzione opposta. Già marciano sicuri verso il Pd versione Renzi. L’accordo, si sa, è già quasi stretto: ci scapperanno una quindicina di poltrone, ma non di più che don Matteo non ha seggi da perdere e Alfano, che in tempi non lontani si sognava potente leader di una destra maggioritaria, avrà pure da mostrare la dovuta gratitudine. Ce lo ritroveremo, col sorrisone eternamente lieto, nel Pd. Con lui ci saranno, fianco a fianco, molti di quelli che sono saliti sul taxi di Verdini per transitare senza sforzarsi troppo da Silvio a Matteo. Qualcosina il gran capo dovrà pure pagare in cambio di quei voti che hanno costretto la poco indomita sinistra Pd alla resa… Tutti insieme, Angelino e la ministra Lorenzin e Denis e i pargoli di Lombardo e Cosentino, con Marchionne sullo sfondo a benedire il gruppo, cantando in lieto coro: «Noi siamo la sinistra moderna».
E se a qualche gufo sembra un film dell’orrore, Renzi di certo non se ne dorrà.