«Certi errori si scontano con la vita. Deploro soltanto che la morte mi impedirà di vedere il dopoguerra; la ricostruzione nostra per la quale ho cercato di lavorare». Con queste drammatiche parole, dettate nella notte fra il 21 e il 22 luglio 1944 ai suoi giustizieri, Dante Castellucci prendeva commiato dai compagni del Comitato di Liberazione Nazionale di Parma dal quale, in qualità di comandante partigiano, era sin lì dipeso.

Prima di essere fucilato, Facio, questo il nome di battaglia, consegnava alla storia della Resistenza una pagina segnata da estremo rigore morale e dalla certezza, ancora a un anno dall’auspicata Liberazione, che il sacrificio suo e dei suoi compagni non sarebbe risultato vano ma avrebbe contribuito a ricostruire quel dopoguerra libero dal fascismo che in questi giorni per la settantasettesima volta celebriamo.

LA TRAGICA FINE DI FACIO, processato e condannato a morte da una banda partigiana rivale con l’accusa di aver sottratto una piastra da mortaio proveniente da un lancio degli Alleati, è all’origine di una certa sottovalutazione dell’importanza che il giovanissimo Dante ha avuto nella storia della Resistenza. Quando nel giugno del 1943 collauda il “distaccamento comunista” che ha organizzato a Novellara e il 22 di quello stesso mese assalta con i suoi compagni il poligono militare di Guastalla siamo ancora ben lontani da quell’ 8 Settembre che segnerà ufficialmente l’inizio della lotta armata contro il nazifascismo in Italia.

In giugno gli Alleati, dopo aver occupato Pantelleria e Lampedusa, premono già sulla Sicilia ma niente ancora può far prevedere la rotta dell’esercito italiano che segue l’annuncio dell’armistizio siglato nei pressi di Siracusa dal generale Castellano e dal suo omologo statunitense Bedell Smith. Siamo anche lontani da quell’imprevedibile 25 luglio e dalla caduta del fascismo allorquando l’avvocato Tancredi (Duccio) Galimberti, parlando alla folla riunita nella grande piazza di Cuneo che oggi porta il suo nome, inviterà profeticamente a prendere le armi per difendersi dall’occupazione nazista.

IL GRUPPO DEI CERVI, nel quale Dante ha un ruolo da protagonista, è tra i primi a insorgere in Italia e se il futuro comandante partigiano alla fine del 1943 non verrà fucilato a Reggio Emilia assieme ai sette fratelli e a Quarto Camurri è solo perché il suo geniale estro gli suggerisce un abile stratagemma. Si finge francese “degaullista” in forza all’VIII armata inglese e viene trasferito, insieme ad altri stranieri, dal Carcere dei Servi alla fortezza di Parma dalla quale riesce rocambolescamente a evadere per proseguire la lotta armata. Smentendo, poi, qualche diffuso luogo comune, Dante è un giovane meridionale ma non è un soldato sbandato e impossibilitato, a causa degli eventi bellici, a far ritorno nella propria regione.

È, viceversa, dalla Calabria che è partito per raggiungere l’Emilia e unirsi ai Cervi. La sua fama nasce con il “Picelli”, la formazione del Parmense di cui ha assunto la guida dopo la morte del primo comandante, Fermo Ognibene, ma Facio diviene un mito dopo che, con pochi uomini asserragliati all’interno di un rifugio, saprà respingere l’assalto di una forza nemica nettamente preponderante. La battaglia del Lago Santo è subito leggendaria ed è citata persino nei bollettini anglo-americani come esempio di indomita volontà di resistenza del popolo italiano. L’audacia del comandante si unisce alla capacità di guidare gli uomini rispettandone i bisogni e dividendo con loro ogni cosa. Al contrario del reparto partigiano che lo farà uccidere, dove è in uso una mensa riservata agli ufficiali, Facio distribuisce ai suoi uomini tutto il cibo disponibile e anche una sigaretta può passare di bocca in bocca per giungere alle sue labbra quando non è più che una microscopica cicca.

I SUOI COSTUMI, insieme straordinariamente sobri ed eretici per un giovane poco più che ventenne, ne fanno una figura partigiana amatissima in Lunigiana. Nel 1962 gli è stata conferita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria, con una motivazione risultata poi palesemente falsa: “Scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente; sopraffatto ed avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto”.

Nel luglio del 2007 le regioni Calabria e Liguria, insieme a un gruppo di autorevoli storici, hanno rivolto un appello al Presidente della Repubblica e ai ministri di Grazia e Giustizia e della Difesa perché quella medaglia d’argento fosse commutata in oro. La richiesta non poteva essere e, infatti, non venne accolta perché la legge 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare) vieta espressamente questa possibilità.

PER MOLTI ANNI A mantenerne viva la memoria è stata la fidanzata di un mese ma sposa per sempre, la partigiana Laura Seghettini morta nel 2017. Il suo paese natale, Sant’Agata d’Esaro in provincia di Cosenza, gli ha dedicato una piazza, la più centrale e la più ampia. Almeno la comunità santagatese non nutre dubbi sull’importanza del suo figlio maggiore.