Quando mi hanno dato la dolorosissima notizia, ho subito pensato che non poteva essere vero, uno come Mario Dondero non muore mai. Può forse sparire per un po’, come ha fatto sempre, scappare in Normandia o nelle Asturie, in Andalusia, e poi ricomparire all’improvviso nei posti più impensati a sorprenderti e accompagnarti in trattoria, il luogo della convivialità e anche il suo preferito.

Lì il grande seduttore può raccontare infaticabile per ore e cantare La vie en rose, alzarsi in piedi gioioso, con quel sorriso dolce da portare in giro, leggero come una piuma, o mettere in pose estenuanti cinquanta persone prima di fotografarle, ma solo dopo un’ora, non prima di averle riempite di affettuose attenzioni.

Comunista molto libertario

Scrittore con la macchina fotografica, perché lui pensa le foto, i racconti per immagini, come i narratori immaginano la letteratura, partigiano dell’umanità, un comunista molto libertario e, laicamente, con la piètas di un credente, renitente alle cose autoritarie, esistenzialista e romantico, un po’ Prévert e un po’ Sartre, che ho sempre pensato somigli talmente al suo amico Roman Polanski tanto da sembrarne il fratello di sangue.
Non gli importa di essere un’icona del fotogiornalismo, anzi si schernisce quando glielo dicono, lui ha ripetuto mille volte che la fotografia gli interessava solo come collante delle relazioni umane, che è sempre vissuto all’altezza delle margherite, vuole essere ricordato per aver voluto bene alla gente.

Curiosità antropologica

La fotografia è la scusa che ha preso giovanissimo per appagare la sua curiosità antropologica, andare a vedere, esserci con il suo sguardo innocente sul palcoscenico della commedia umana, con scopo politico, sui fronti di guerra o in una strada di città, dentro un tinello di casa popolare, incontrando intellettuali famosissimi, eroi della Storia, o uomini semplici, perché per lui nessuno è mai un uomo qualunque. Tutti hanno qualcosa di interessante e di particolare che li rende umani, e li fotografa perché esistono.

Uno come Mario Dondero non può essere morto. Sono sicuro di rivederlo molto presto dove lo incontravo, a Fermo nella sua casa di vicolo Lungo, nel quartiere di Piazzetta al Cafè Flet, il nostro bar, in una stazione ferroviaria, sopra la corriera per Roma, all’andata o al ritorno.

Lui apparirà come sempre all’improvviso, con il suo inconfondibile passo, il berretto scozzese ben calcato in testa, la sciarpa bordò, il borsone e in mano la piccola Leica, con la solita gioia e la felice voglia di vivere, e ci abbracceremo stringendoci forte, come tutte le volte, sino a soffocarci. Poi mi dirà ammiccante: «Dai, beviamo insieme un bicchiere».