La granitica maggioranza parlamentare del partito popolare comincia a mostrare delle crepe. Una maggioranza così lontana dalla realtà sociale da arrivare persino a bocciare senza battere ciglio un’iniziativa di Izquierda Unida, poco prima di Natale, che si limitava a chiedere di evitare di tagliare la luce ai morosi più indigenti durante l’inverno. O a bloccare, due volte di seguito con un ricorso del governo, la legge andalusa che introduceva il blocco degli sfratti e l’esproprio temporaneo degli appartamenti vuoti delle banche in favore delle famiglie bisognose. Per la cronaca, tra le altre, con la ridicola motivazione (resa nota questa settimana) che così «sparirebbe la proprietà privata».

Ma le crepe si fanno sempre più visibili e iniziano a innervosire i dirigenti. Questo fine settimana il partito si è riunito in una convenzione nazionale il cui obiettivo era prima di tutto quello di mandare il segnale che è tutto sotto controllo. Ma sotto la patina di unità, i mal di pancia si fanno sentire. Lo scoglio numero uno sono le europee di maggio; poi inizierà un iter elettorale che dopo varie tornate di amministrative culminerà – se il governo deciderà di arrivare in fondo alla legislatura – con le politiche di fine 2015. La conflittualità, cresciuta negli anni di crisi, in queste settimane comincia a vedere i primi risultati concreti. Innanzitutto il caso della piccola Burgos, dove quattro giorni di proteste di quartiere a Gamonal sono riusciti a bloccare il progetto urbanistico che il sindaco popolare aveva deciso di far passare sulla testa dei suoi concittadini pur di dare i soldi al più potente costruttore della zona. Un risultato senza precedenti, che ha costretto il sindaco a rimangiarsi le parole di fermezza e che ha rilanciato le lotte su piccola scala come strumento per opporsi alla prepotenza del potere.

Il secondo gancio il Pp lo ha ricevuto proprio questa settimana: lo sbandierato processo di privatizzazione della sanità della comunità di Madrid è stato bloccato dai giudici dopo mesi di proteste delle cosiddette «maree bianche». Il responsabile della sanità madrilegna è stato costretto alle dimissioni e il presidente della comunità a ingoiare il rospo. Un ricorso contro la decisione sarebbe stato troppo rischioso in prossimità delle elezioni locali.

E poi c’è il caso delle «preferenti», le azioni-capestro vendute con l’inganno a centinaia di migliaia di ignari spagnoli dalle banche, promettendo guadagni sicuri. Un giudice dopo l’altro condanna le entità finanziarie a restituire il maltolto davanti all’evidenza della massiccia truffa. L’ultimo è il caso del Bbva e prima Bankia (salvata dalla iniezione di denaro pubblico e condannata per le manovre delle banche che la costituiscono) e di Novagalicia.

La pessima legge sull’aborto, sotto pressione della piazza, quasi certamente cadrà sull’altare del realismo politico prima di trasformarsi in legge. Molti baroni popolari hanno iniziato a esprimere le loro perplessità. Il più esplicito è stato il presidente dell’Estremadura, in sella a un governo in minoranza grazie a un’inedita astensione di Izquierda Unida. È stato il primo a chiedere al suo partito di fare un passo indietro. Molti altri stanno seguendo i suoi passi e Rajoy non reggerà ancora molto a lungo. Era una legge pensata per rafforzare il fianco destro del partito, nel disperato tentativo di frenare l’emorragia di voti sulla pelle delle donne. Ma lo sforzo si sta dimostrando inutile. È sempre più concreta la possibilità che alle europee si presenti Vox, un nuovo partito di destra che in nome della guerra all’indipendentismo catalano e alla (già sconfitta) Eta (verso la quale i voxisti vedono degli invisibili cedimenti del governo), sta cominciando ad agglutinare i personaggi più critici verso la leadership di Rajoy. Preoccupa la posizione di Mayor Orega, attuale deputato europeo (che non si ripresenterà) ma anche quella dell’ex premier Aznar, la cui assenza questo fine settimana è stato il tema più discusso della convention popolare. Se Vox rappresenti o meno una minaccia al Pp lo diranno gli elettori. Ma le promesse di tornare ad abbassare le tasse o lo sbandierato entusiasmo per una misera crescita dello 0,3% dell’ultimo trimestre 2013 (durante l’anno la crescita è stata di -1.2%) tradiscono un nervosismo sempre più palpabile.