Potrei dire che le note che appaiono in questa rubrica si avvalgono di una prerogativa affine a quella della lente, che ingrandisce e definisce un particolare dell’insieme. Di un rilevante, ampio e complesso ordine di questioni relativo all’argomento volta a volta scelto e posto in discussione, si è badato a selezionare e circoscrivere un aspetto, ci si è proposti di mettere in evidenza un lato. Si è tentato, da quella privilegiata angolatura, di esaminare con attenzione i tratti, i modi, i contegni che (forse) quell’argomento distinguono e contrassegnano, stando alle resultanze delle nostre indagini.

Si tratta, in ogni caso, di ragionare un tema generale nel vivo di uno dei suoi (numerosi) nessi costitutivi. Un punto scelto perché mostra, della complessità del tema, un particolare significativo e, per la sua peculiarità, capace di illuminare dall’interno l’insieme della questione affrontata. Sono dunque i particolari (elementi autonomi dotati di una loro intrinseca coerenza, per loro stessi ‘esatti’) che articolano le connessioni interne del tema in discussione. Un particolare non ha nulla a che vedere con un ‘dettaglio’, ovvero con quanto si taglia via e si separa dall’insieme. Il dettaglio, per quanto possa essere relativo ed attinente a una questione, non può che marcare una sua irreversibile separatezza, come chi sia stato asportato dal suo alveo o, reciso, giaccia privo di linfa. Il particolare, al contrario, non solo mantiene, ma esalta, per dir così, la pulsazione viva dell’insieme. Togli via un particolare, l’insieme crolla. Ridotti i particolari a dettagli, coi dettagli ottenuti non ricomponi l’insieme. Di un tema, di un’opera, di un giudizio il particolare fornisce e presidia le condizioni di coerenza e di unità: è una componente strutturale. Regge e tiene. Per questo l’esame dei particolari, allorché si sappia condurre con penetrazione e accuratezza, ottiene una cognizione accresciuta dell’intero.

Consegue una rilevazione delle fibre interne che non si raggiunge quando si procede ad una disamina dell’insieme nella sua integrità e compiutezza. Metodo che è giusto definire attendibile, ma ‘esteriore’.

Tra le note fino ad oggi pubblicate nel «Divano» richiamo, a mo’ d’esempio, le tre in cui si è discorso de «L’Utopia» di Tommaso Moro. Bene si prestano, a me sembra, a lumeggiare le virtù delle indagini sui particolari.

Esse, infatti, si soffermano su alcuni elementi perspicui e impliciti del testo. Il ‘parlare’, l’interlocuzione e l’ascolto reso in ‘forma di parole’. L’‘effimero’ e il ‘mutevole’ cui allude la conformazione dell’isola ovvero la sua foggia lunare. Il ‘raccontare’ come crescita di consapevolezza interiore riconosciuta quale indispensabile virtù ‘politica’. Si tratta di osservazioni ragionate su punti circoscritti. Ma risultano le assi portanti, gli architravi che recano al testo la sua tenuta, individuati e illustrati perché sono essi che conferiscono senso compiuto all’insieme dell’opera. Così vanno posti in evidenza affinché il lettore non si limiti alla incantata seduzione narrativa. La modalità critica di queste note del «Divano», pare molto vicina alla forma della chiosa, quel commento aderente dall’interno al testo che Carlo Antoni mostrò di ritenere, nella sua ricerca filosofica, lo strumento di verifica più sicuro quando si valuti la conformità delle connessioni che attestano la tenuta di una affermazione teorica. Bene si presta, dunque, la chiosa a riflessioni puntuali su argomenti, opere e casi e a precisazioni improntate ad una costante assunzione critica e non, dice Antoni, a una «pedissequa esposizione».