Milan Inter ’63. Sottotitolo La leggenda del Mago e del Paròn. Per i meno avvezzi si tratta di Helenio Herrera, allenatore dell’Inter che con lo scudetto conquistato nel maggio 1963 diede il via a un ciclo indimenticabile e el paròn Nereo Rocco allenatore del Milan che nello stesso mese conquistò la Coppa dei campioni. E su questo ci hanno fatto una mostra (a Palazzo Reale, aperta fino all’8 settembre) . E che ci sarà mai? Qualche cimelio un po’ di foto e dei filmati? Certo, ma il risultato è sorprendente. Perché si parla molto di calcio, ma soprattutto si parla di Milano che in quel periodo viveva un momento davvero magico, non solo da un punto di vista calcistico. Saccheggiando felici e a piene mani nelle teche Rai affiorano autentiche delizie per capire che da allora sono passati cinquanta anni, ma si tratta di anni luce tanta è la distanza e la differenza tra quella città e quella contemporanea. Soprattutto là c’era speranza, c’era fiducia, c’era futuro.

[do action=”citazione”]Le immagini degli immigrati dal Sud con le loro valigie di cartone non sono retorica sono realtà e i «mandarini» (così venivano chiamati i «terroni») in quelle valigie portavano una gran voglia di cambiamento e di sacrificio, soprattutto per i loro figli. E le fabbriche, che allora c’erano, erano pronte all’accoglienza, ruvida, aspra ma in qualche modo anche bonaria. Sia chiaro si facevano un mazzo tanto, ma a differenza dei torinesi che non affittavano ai meridionali, i milanesi prendevano in giro ma accettavano gli «altri», i grezzi e maldestri epigoni di Alberto da Giussano non erano neppure immaginabili. Poi, ovunque ci si girasse, fiorivano proposte culturali, segno inequivocabile di una città viva.[/do]
Carlo Mazzarella poteva girare per la città accanto a Luciano Bianciardi, piuttosto che Marcello Marchesi («gli uccellini a Milano tossiscono, non cinguettano»), Mario Soldati, Giorgio Bocca oppure farsela raccontare da Franca Valeri che disquisisce sul fatto che in Montenapoleone si senta ancora parlare il dialetto milanese meglio però dopo le 5 del pomeriggio, perché all’ora di pranzo è più arioso, tutto questo da Cova (ora acquistato da una griffe del lusso) «che qui mi vieni su trasandata come una principessa». Tutto raccontato da un monitor che sciorina gli incontri in loop. A disturbare la concentrazione sono loro Enzo Jannacci e Dario Fo, fresco di cacciata dalla Canzon(at)issima Rai, che nell’altro angolo offrono le loro canzoni, tra cui una Ti te se no (tu non sai) struggente, con accanto Gaber per l’Armando, Toffolo e altri ancora per cantare La moglie di Cecco Beppe, roba da osteria, perché anche lì c’era fermento.

Non c’è Renato (Pozzetto) che però strimpella in un bar con Maria Monti in una fotografia. Intorno a loro Milano cresce, si espande, cementifica forse anche comincia quel degrado che l’ha portata alle miserie contemporanee, ma è innegabile che in quegli anni non erano solo Inter e Milan a portare la città in cima alle classifiche tra le più dinamiche del mondo. Ogni cantina era un covo di intellettuali pronti a fare musica, cabaret, teatro, i salotti della borghesia milanese si aprivano, non a tutti, certo, per quello bisognerà aspettare la fine degli anni ’60, anche se bombe e terrorismo renderanno la stagione fugace.

Poi ci sono loro che più diversi non si può, il diavolo e l’acqua santa. Detto che il diavolo dovrebbe essere per definizione Rocco, nato Roch nella Trieste di Cecco Beppe imperatore (chissà come avrebbe preso la canzoncina di Jannacci sulla consorte?), figlio del macellaio , ma in realtà era qualcosa di più perché riforniva di carni le navi del Lloyd adriatico, senza dimenticare che Trieste era il porto dell’impero austroungarico. Ma aldilà del vocabolario limitato al triestino e di una ottima propensione per la tavola , purché accompagnata da importanti libagioni, Nereo era un personaggio sostanzialmente tranquillo. E l’altro di sicuro non era l’acqua santa. Giramondo, nato in Argentina da un profugo spagnolo anarchico, cresciuto in Marocco, emigrato in Francia, padrone di diversi idiomi, sciupafemmine inveterato, salutista antelitteram con ginnastica, yoga e cibi naturali. Lui dava del lei ai calciatori. Nereo puntava sul confidenziale «mona», uno era il Mister per eccellenza l’altro replicava «mister ti sarà ti, mona». Roba da non credere, eppure si stimavano, molto e reciprocamente. Quando Helenio ebbe l’infarto Nereo gli era vicino e dopo che Nereo se n’era andato Helenio andava a trovarlo al cimitero, da solo per un colloquio tra di loro, a quattr’occhi.

Uno esibizionista, l’altro schivo, Rocco avrebbe dovuto avere una parte in Amarcord di Fellini, ma lasciò cadere la proposta, Helenio invece, già in età avanzata, posa nudo per la moglie Flora Gandolfi. Entrambi personaggi d’altri tempi, come erano altri tempi quelli in cui a fare le interviste del dopo derby troviamo addirittura Adriano Celentano, «si vede prima l’intelligenza e poi l’interista» doc, che gigioneggia complice con il mago e ironizza col paròn, poi incontra anche Carraro e Moratti e rincara la dose. Si aprono voragini di nostalgia riempite per fortuna dalle porte degli armadietti degli spogliatoi perché lì si nascondono altre chicche di una mostra curata da Gigi Garanzini, all’ombra di sua santità sportiva gioanbrerafucarlo. Una mostra imperdibile per tutti gli appassionati di MilanInter, il settimanale che allora usciva ogni lunedì per celebrare solo le glorie delle due squadre milanesi, e per chi avesse voglia di gettare uno sguardo su quella Milano di cinquanta anni fa.