Sarà che la riunione era in teleconferenza dov’è più difficile litigare, sarà soprattutto che nella mattinata il presidente della Repubblica nelle sue telefonate ai leader dell’opposizione aveva raccomandato collaborazione, fatto sta che la conferenza (virtuale) dei capigruppo della camera è andata in maniera assai diversa da quella del senato di mercoledì, quando al termine di una litigata di ore la maggioranza non era riuscita a piegare la Lega, contraria a ogni procedura speciale per l’esame dei decreti sull’emergenza coronavirus. Anche alla camera, inevitabilmente, i quattro decreti legge che il governo ha emanato fin qui (molti di più sono stati i Dpcm, atti amministrativi senza controllo parlamentare) seguiranno l’iter normale. Con tanto di esame nelle commissioni ed emendamenti anche in aula. Saranno, è vero, accorpati, ma questo significa che la scadenza dell’unico decretone (circa 200 articoli) arriverà prima, il 30 aprile. E così, in piena emergenza, senato e camera dovranno lavorare non solo intensamente, ma anche velocemente.

«Il parlamento garantirà in pieno l’esercizio delle sue funzioni per dare pieno supporto al paese in questa fase delicata e complessa, contribuendo a migliorare i provvedimenti approvati dal governo» ha detto il presidente della camera Fico, contrario alla soluzione del voto a distanza (che invece il parlamento europeo ieri ha adottato per la prima volta), in linea con la convinzione del presidente Mattarella che le camere devono potersi riunire e fare il loro lavoro oggi più che mai. Anche se il controllo dei parlamentari sarà solo sulle misure economiche: le limitazioni ai diritti sociali sono state decise tutte con la formula dei Dpcm.

Il senato ha previsto di chiudere l’esame sul decreto entro l’8 aprile, prima (il 31 marzo) la camera avrà dovuto terminare l’iter del decreto sul cuneo fiscale, eredità della manovra economica. Mercoledì prossimo ci sarà anche un question time sul coronavirus, con la presenza in aula dei ministri. Dopo di che la seconda lettura sul decretone dovrà essere veloce, pesano le due settimane e più di mancato esame sui decreti di inizio marzo. E ci sarà anche una terza lettura. Ma sarà esame vero, a parte il consueto giro di audizioni sostituito da relazioni scritte. Le commissioni si riuniranno nelle aule più grandi (sala del Mappamondo, auletta dei gruppi) oppure in sede congiunta (bilancio e affari sociali, probabilmente) nell’aula di Montecitorio (circa un centinaio di deputati nei posti di 630).

Resta il problema dei voti in aula. Che infatti è stato rinviato dalla capigruppo telematica di ieri a una capigruppo in carne ossa e mascherine che si terrà martedì prossimo a Montecitorio. Un problema quasi irrisolvibile, perché qualsiasi forma di partecipazione contingentata – come nel caso del voto sullo scostamento di bilancio, l’11 marzo – consegna all’opposizione un potere assoluto sul merito del provvedimento: sarebbe semplicissimo far saltare il numero legale in caso di mancato accordo. D’altra parte è impensabile tenere i deputati fianco a fianco per ore a votare emendamenti e articoli. Altre ipotesi, come l’ingresso a turno in aula o il voto per alzata di mano sono praticabili al massimo per il voto finale. Sarebbe tutto più facile nel caso il governo mettesse la fiducia sul provvedimento, cancellando la fase dell’aula. Anche questa sarebbe una soluzione normale, la più frequente anche senza la paura del coronavirus. Solo che voto di fiducia e collaborazione dell’opposizione non stanno insieme. Sta tutto qui il problema, adesso. Sempre che l’epidemia non cancelli, tra qualche giorno, la speranza di poter lavorare come sempre. Anche in parlamento.