Grenfell Tower è un high rise building, un edificio a molti piani risalente alla ricostruzione del dopoguerra, di quelli che hanno nutrito l’immaginazione di J. G. Ballard e Stanley Kubrick. Alcuni sono capolavori modernisti di edilizia popolare, altri dei veri e propri ghetti, dove la sicurezza è quasi l’ultimo dei problemi. Ne parliamo con Debbie Larner, che ha un ruolo dirigenziale presso il Chartered Institute of Housing, un’associazione indipendente (think tank) che dai primi del Novecento rappresenta e cura gli interessi di inquilini e proprietari con sede a Coventry, e con John Boughton, storico e blogger presso Municipal Dreams (WordPress).

Come evitare tragedie come quella di Grenfell Tower?

(D.L.) È presto per fare commenti, l’incidente è ancora in corso. Dopo l’incendio di Lakanal House del 2009 avevamo aperto un’inchiesta per mettere meglio a fuoco i modi di prevenzione. Siamo riusciti a far adeguare le norme per gli edifici di nuova costruzione ma non per i già esistenti 4.000 tower blocks che esistono al momento. Questa è una tragedia di cui andranno stabilite le cause, siano esse dovute a deficienze strutturali o a difetti nell’amministrazione.

(J.B.) C’è la tendenza dei locatori – in questo caso i council – a trascurare le proprie responsabilità nei confronti degli inquilini, che a loro volta spesso subaffittano il proprio appartamento a terzi.

Quali saranno le implicazioni politiche tenendo conto che l’attuale numero due di Theresa May, Gavin Barwell ricopriva fino a ieri la carica di housing minister? Non c’è forse una carenza di fondi per le abitazioni popolari?

(J.B.) Il problema è precedente. Il parlamento ha ripetutamente bocciato il rafforzamento delle misure di sicurezza per le proprietà in affitto.

(D.L.) Si voleva rimettere mano alle regolamentazioni edilizie da molto prima che s’installasse la corrente amministrazione. Il fatto è che le vecchie torri prima d’ora non richiedevano le misure antincendio e di evacuazione degli edifici attualmente in costruzione. Le autorità locali dovranno affrontare il problema giacché, ora come ora, legalmente non hanno necessità di farlo. Bisognerà senz’altro ammodernare i vecchi edifici, installare gli spruzzatori. Questo richiede soldi, certo. Che però non sono nulla di fronte alla perdita di vite umane. Il rapporto compilato nel 2009 denunciava un basso livello di comprensione delle misure antincendio e di sicurezza, sia da parte di chi fornisce gli alloggi che di chi li abita. Si deve insistere nel raccomandare di chiudere le porte antincendio, che vengono troppe volte lasciate aperte, oppure di seguire alla lettera le misure di emergenza già esistenti.

A questo proposito, cosa pensate della regola detta stay put (restare al sicuro in casa), criticata anche dal sindaco Khan e dell’ammodernamento della facciata dell’edificio con fin troppo infiammabile legno?

(D.L.) Le misure di stay put sono state molto criticate oggi, ma il problema vero è applicare in modo indiscriminato certe tecniche in qualunque caso di emergenza. Non si può prescrivere sempre di restare in casa oppure sempre di evacuare. Una tecnica di stay put funzionerà solo se tutto il resto delle misure funziona. Bisogna fare dei rigorosi test di rischio a seconda di chi vive nell’edificio. Basti pensare a chi ha problemi di deambulazione.

(J.B.) Di certo l’infiammabilità della copertura esterna ha avuto un peso, ma il problema è soprattutto la compartimentalizzazione, cioè l’isolamento delle fiamme in un unico appartamento, unitamente alla mancanza di spruzzatori. C’è poi un problema diffuso di malfunzionamento degli allarmi che potrebbe aver aggravato la situazione.