«Un teatro dell’assurdo». Così, l’analista brasiliano Beto Almeida ha definito la votazione della Camera che, domenica, ha approvato il procedimento di impeachment per la presidente Dilma Rousseff. Fra grida e improperi, tifo da stadio e grottesche dediche «alla zia», «ai militari del ’64 (il colpo di stato, ndr)» e «agli evangelici», 367 deputati su complessivi 513 hanno dato via libera al provvedimento: che richiedeva una maggioranza dei 2/3, e che ora passa al Senato. Anche in quella sede, perché la destituzione sia approvata occorrerà un’analoga maggioranza, con l’avallo di almeno 54 degli 81 senatori. Il primo passaggio è però quello che riguarda la commissione speciale composta da 21 membri titolari e altrettanti supplenti che, con maggioranza semplice (la metà più uno) dovrà avviare la procedura in Senato oppure archiviarla.

La nomina della commissione, composta da 42 senatori (21 titolari e altrettanti supplenti) è attesa per oggi e avrà 48 ore per eleggere presidente e relatore: considerando che il 21 è festa nazionale, questo dovrebbe avvenire il 25. I membri della commissione si definiranno secondo la proporzione dei partiti o delle alleanze. Per questo, il presidente del Senato, Renan Calheiros (un altro inquisito) convocherà i leader dei partiti e consulterà il presidente della Corte suprema, il ministro Ricardo Lewandowski, circa l’iter del processo. L’opinione di Lewandowski è considerata fondamentale affinché nessun partito possa impugnarlo giuridicamente. Per esempio, si tratterà di decidere i tempi: a differenza di quel che è successo alla Camera, che ha considerato 10 sessioni plenarie, per il Senato la legge parla di «dieci giorni», ma non è chiaro se si intenda solo i giorni lavorativi.

La decisione della commissione speciale dovrebbe arrivare tra il 10 e l’11 di maggio. Se si decide per l’ammissibilità dell’impeachment, la decisione verrà comunicata alla presidente, che avrà tempo 20 giorni per presentare la difesa e per allegare memorie e documenti. Dal responso della commissione (sempre a maggioranza semplice), dipenderà l’apertura del processo presso il Senato, che sarà presieduto dal presidente della Corte suprema. Perché la presidente sia destituita, occorrerà l’approvazione dei 2/3, ovvero di 54 degli 81 senatori. Ma, nel frattempo, Rousseff verrà sospesa dall’incarico per un massimo di 180 giorni. Al suo posto subentrerà il vicepresidente Michel Temer, che appartiere al partito centrista Pmdb.

Come vicepresidente, Temer deve rispondere delle stesse accuse che hanno messo in moto l’impeachment per Rousseff: aver truccato i conti del governo per il 2014, presentando un bilancio migliore di quel che realmente fosse. Un’accusa inesistente e pretestuosa – secondo i movimenti e le sinistre, mobilitate contro «il golpe istituzionale»: una strategia simile a quella che, nel 2012, ha portato alla destituzione di Fernando Lugo in Paraguay, e nel 2009 a quella messa in atto dai militari contro il presidente Manuel Zelaya. E che si sta muovendo contro Maduro in Venezuela. A orchestrarla, il presidente della Camera, Fernando Cunha, anch’egli del Pmdb, un corrotto di lungo corso che finora è riuscito a non essere processato dal Supremo Tribunal Federal.

Accusato di aver stornato sui suoi conti in Svizzera fondi per 52 milioni di dollari e sempre rimasto a galla grazie all’immunità parlamentare, Cunha è il riferimento della grande imprenditoria e delle potenti chiese evangeliche ed è il terminale dei circoli più reazionari di Washington. In questi mesi, si è dedicato a smontare la fragile maggioranza formata da Rousseff dopo la sua seconda elezione e ora punta alla presidenza, che toccherebbe a lui se anche l’impeachment di Temer va avanti. Se la presidente viene destituita e così anche Temer, Cunha ha tempo 90 giorni per convocare una nuova elezione presidenziale. Per le destre, si tratta di spostare l’asse delle politiche a favore dei grandi poteri internazionali, in una congiuntura difficile per le forze di progresso in tutta l’America latina.

Intanto, devono neutralizzare il candidato più quotato per le presidenziali del 2018, Lula da Silva. Un percorso messo in chiaro dai deputati pro-impeachment durante la votazione in Parlamento: «Basta con la Centrale unica dei lavoratori e i suoi marginali. Basta dar soldi ai disoccupati», gridavano, presentandosi, senza alcuna vergogna, come paladini dell’anticorruzione: 35 su 38 esponenti della commissione parlamentare che ha avviato l’impeachment sono inquisiti per corruzione, così come oltre 303 parlamentari e 49 senatori (alcuni anche per tortura).
«Un processo come questo, senza delitto né dolo, è un colpo di stato», ha detto l’avvocato del governo José Eduardo Cardozo. Il Frente Brasile Popolare e il Fronte Popolo Senza Paura, formati da un’alleanza di movimenti, associazioni e sindacati invitano alla mobilitazione permanente, mentre dall’America latina all’Europa, si fa sentire la solidarietà.