I giudici fermano le ruspe di Tesla, pronte a spianare 92 ettari della foresta di Grünheide per fare spazio alla Gigafactory-Europe a emissioni zero.

Uno stop «urgente eppure temporaneo», imposto per preservare l’area naturale dall’«azione irreversibile» del costruttore di auto elettriche; in attesa che si risolva il contenzioso tra gli ambientalisti della Grüne Liga e l’ad Elon Musk denunciato per il consumo del suolo e delle risorse idriche.

«Siamo stati costretti a intervenire: entro tre giorni gli alberi sarebbero stati abbattuti mentre il giudizio del tribunale è ancora pendente. Il blocco del cantiere, tuttavia, non equivale a una sentenza in favore degli ecologisti» mettono in guardia alla Corte amministrativa di Francoforte sull’Oder, che ha giurisdizione su Berlino e il Brandeburgo.

In ogni caso, al di là dell’aspetto legale, ieri si è consumato il “paradosso di Tesla”: il futuro impianto, a 35 chilometri a Sud della capitale, darà lavoro a ben 12mila operai (contribuendo alla svolta sulla mobilità elettrica promossa dal governo tedesco) ma nel presente si appresta a piallare 227 acri di boschi in uno degli ultimi ecosistemi del Brandeburgo. Dietro la singolare promessa che «per bilanciare» verrà piantata un’altra foresta.

È IL LATO “B” dell’investimento da 4 miliardi di euro annunciato quattro mesi fa da Elon Musk, che suona sicuro dal punto di vista finanziario (come dimostra la Borsa) ma quanto mai azzardato sotto il profilo del rispetto delle procedure democratiche prima che di burocrazia: formalmente il Brandeburgo non ha ancora concesso al marchio californiano il permesso per costruire la Gigafactory-Europe che dovrebbe produrre mezzo milione di veicoli all’anno più gli stock di batterie.

Anche per questo non secondario dettaglio dalla fine di novembre centinaia di ambientalisti della Grüne Liga del Brandeburgo protestano con il governo di Potsdam, chiamato a scegliere fra «Tesla oppure l’acqua potabile» come sintetizza lo slogan più diffuso sui cartelli.

IN DIFESA DELLA FABBRICA di Musk, al contrario, ieri sono scesi in campo sia i cristiano-democratici che i liberali, uniti nella comune denuncia del pericoloso «precedente che da qui in poi allontanerà qualunque investitore straniero da Berlino».

L’inizio della produzione dei primi modelli Tesla made in Germany in teoria rimane fissato per l’inizio dell’estate 2021, mentre Musk mantiene nel piano anche il centro-design che dovrebbe avere sede in uno dei quartieri centrali di Berlino: l’altra parte dell’offerta di investire fatta alla Germania, ufficialmente, solamente «perché il Regno Unito ha scelto la via della Brexit».

Ma l’ad di Fremont si muove anzitutto sull’onda dell’esperienza acquisita a Shanghai dove la Gigafactory-Asia (costata 5 miliardi di dollari) dal 30 dicembre sforna già le Tesla “Model 3” destinate al mercato degli Stati Uniti.

Il governo del Brandeburgo, via portavoce, ieri ha fatto sapere di «attendere la decisione finale della Corte amministrativa senza la minima preoccupazione» manifestando l’urgenza solo di «una sentenza il più tempestiva possibile».

Politicamente, appare il modo più immediato per “lavarsi le mani” del caso che scotta anche sotto il profilo della «protezione delle falde di acqua potabile» chiesta dagli abitanti di Grünheide alla Cancelleria del Land, il cui “Dipartimento Foreste” ha stimato in appena 41 milioni di euro il costo dei 300 ettari pubblici venduti a Tesla.

«NESSUN NEGOZIATO sottobanco dello Stato con i dirigenti del costruttore Usa» è la parola d’ordine scandita pure nelle manifestazioni di 15 giorni fa contro il “pre-accordo” tra il Brandeburgo e Musk, con ottanta attivisti impegnati a occupare la foresta e altri duecento a sfilare in corteo per le vie di Potsdam: «il doppio del previsto», sottolinea la stampa locale.

Un problema accantonato dal governo del Brandeburgo negli ultimi mesi grazie soprattutto alle infinite bonifiche belliche degli ordigni della Seconda guerra mondiale, che hanno congelato l’avanzamento dei lavori di Tesla e distolto l’attenzione sull’imminente distruzione del primo pezzo di foresta.

Come effetto collaterale, invece, lo stop temporaneo alla produzione Tesla si inserisce nello scontro commerciale tra i grandi marchi tedeschi (Vw, Bmw, Mercedes) e l’industria americana, sempre più spinta dal presidente Trump.

LE PRIME CONSEGNE della Volkswagen ID.3 – costruita nello stabilimento di Zwickau dove fino al 1990 si assemblavano le Trabant – sono previste tra la primavera e l’estate. Forte di 30mila prenotazioni e il costo di “soli“ 30mila euro sarà la diretta concorrente del “Model 3” made in Berlin. Con la differenza che “l’auto elettrica del Popolo” per il 20% è della Bassa Sassonia, con tutto ciò che ne consegue.