«Tutto è così assurdo di questi tempi che anche la parola assurdità non mi sembra avere più molto senso» afferma Quentin Dupieux tra il serio e il faceto. È innegabile infatti che è proprio l’assurdità, o forse più precisamente il non senso che irrompe in una cornice di «buon senso», ad essere il motore dei suoi film e Incroyable mais vrai (Incredibile ma vero), presentato alla Berlinale nella sezione Special Gala, non fa eccezione. Sono eventi fuori dall’ordinario – come la mosca gigante trovata dai protagonisti in Mandibules, il lavoro precedente – ma ciò che è più interessante è proprio lo strano rapporto che si viene a creare con la quotidianità, ovvero come queste follie vengono assorbite e normalizzate, piegate alle logiche correnti. Con il risultato che, attraverso ciò che è fuori dal comune, Dupieux indaga proprio il funzionamento delle dinamiche di tutti i giorni.
In Incroyable mais vrai è la difficoltà ad accettare la vecchiaia il tema principale, che esplode quando Alain e Marie (interpretati da Alain Chabat e Léa Drucker), una coppia di classe media, visitano una possibile casa da acquistare. La particolarità dell’abitazione è quella di celare una botola nello scantinato con una scala che conduce in una stramba dimensione: è sempre la stessa casa, ma dodici ore in avanti. Ancora più paradossale, dopo questo salto nel tempo, una volta risaliti nello scantinato, il proprio corpo ringiovanisce di tre giorni. È questo il punto di partenza di un intreccio in cui Dupieux è abilissimo a giocare con le aspettative del pubblico tramite dei tempi comici perfetti, complice l’ottima interpretazione dei personaggi principali. Un meccanismo che il regista padroneggia alla perfezione, come dimostra la lunga sequenza di scene senza alcun dialogo in cui vengono condensati numerosi avvenimenti che risulta divertente e intellegibile perché lo spettatore possiede già tutti gli elementi necessari per comprenderla, nulla di più e nulla di meno.

DUPIEUX, nelle sceneggiature come nella vita, non sembra porsi barriere. Accanto a quella di regista conduce infatti con successo una seconda carriera, quella di dj e musicista elettronico con il nome d’arte Mr. Oizo. Nelle copertine dei dischi come nei titoli delle sue canzoni – il genere si situa tra techno e french touch – si ritrova quello spirito ironico e dissacrante che il regista riversa nel suo cinema; dopo il film Wrong Cops del 2013 tuttavia ha smesso di comporre le musiche dei propri film, tenendo quindi i due percorsi separati. Abbiamo parlato con Dupieux in un incontro ristretto a margine della Berlinale, in cui era presente anche Léa Drucker che ha commentato così la sua partecipazione a Incroyable mais vrai: «Mi piacciono i registi con una visione forte, come quella di Quentin. Entrare nel suo mondo è stato bello, è come un parco giochi per bambini. Il suo infatti è un approccio infantile al cinema, e non lo dico in un senso peggiorativo, c’è euforia sul set e ci si diverte molto». Abbiamo posto al regista alcune domande per approfondire il processo che ha portato alla realizzazione del nuovo lavoro.

Quentin Dupieux

Perché hai affrontato il tema della difficoltà che troviamo nell’accettare l’invecchiamento?

Non lo definirei un tema perché è ovunque: nelle strade, sul web, è la realtà in cui siamo immersi. Rimuovendo la parte «folle» del film, ovvero la macchina del tempo, allora in un certo senso diventerebbe un semplice dramma sulla crisi di mezza età. Ma mi interessa proprio questa mescolanza: un film sui viaggi nel tempo lo abbiamo visto molte volte e non sarebbe stato abbastanza per me, così come non mi interessa filmare delle persone sedute intorno a un tavolo che parlano dell’invecchiamento. Credo che sia un’importante tendenza della contemporaneità quella di abbattere i confini tra i generi.

Essendo anche un musicista, come hai lavorato all’aspetto musicale del film? C’è un legame tra questa tua seconda carriera e quella di filmmaker?

La colonna sonora è composta unicamente da un vecchio disco lungo 35 minuti, un vinile che avevo da me, Jon Santo plays Bach. Me ne sono innamorato e poi ho scoperto che è piuttosto raro. Così ho deciso di utilizzarlo ed è stato un punto di riferimento, ho costruito il film e l’atmosfera delle scene con questo disco in mente. La musica che io compongo è molto diversa, è meno melodica. Non credo ci sia un grande legame tra le due attività, forse solamente quando monto un film entra in gioco il mio orecchio musicale.

Ci sono diversi rimandi ad altri film e opere che si posso notare in «Incroyable mais vrai».

Sì, ma molti li ho scoperti solamente nel momento in cui stavamo girando, non erano voluti. Ad esempio quello ad Alice nel paese delle meraviglie, è stata Léa Drucker ad accorgersene e sempre lei mi ha fatto pensare a Dorian Grey. Le formiche che fuoriescono dal suo corpo invece sono un richiamo voluto al lavoro di Salvador Dalí in Un chien andalou, era un’immagine che desideravo inserire in un film da molti anni. Credo comunque che sia un buon segno quello di non controllare tutte le influenze che entrano in un lavoro.