In un universo musicale in cui tutto viene etichettato e classificato i cambiamenti non sono sempre semplici. Ci sono artisti che fanno delle metamorfosi la loro cifra stilistica, ma per la maggior parte sperimentare qualcosa di radicalmente nuovo vuol dire sfidare convenzioni e opinioni consolidate, stupire e spesso spiazzare discografici e fan. Capita però a volte che gli artisti siano proiettati per scelta, ma anche per circostanze diverse dalla loro volontà, fuori da una loro ideale «comfort zone» artistica. Avviene quando realizzano brani o album sperimentali, ma anche quando i loro lavori vengono inseriti in contesti radicalmente differenti. Con esiti spesso curiosi se non paradossali. Eccone qualche esempio.
BARBRA STREISAND «…AND OTHER MUSICAL INSTRUMENTS»
Una delle dive per eccellenza dello showbiz americano si cimentò nel 1973 in un album che voleva essere una sorta di collage musicale fatto di commistioni di generi. Si passava dalle cornamuse scozzesi, alla musica araba, allo swing, ai vocalizzi indiani il più delle volte nello stesso brano. Un gioioso caos sperimentale, un medley di standard musicali e brani di repertorio. Un salto nel vuoto coraggioso che diventerà però il disco meno venduto nella carriera della star.
JOHNNY CASH «CHILDREN’S ALBUM»
«Ho ucciso un uomo solo per vederlo morire»: nessuno chiamerebbe uno che cantava questi versi a leggere una favola a suo figlio. Tuttavia nel 1975 l’uomo in nero del country americano abbandonò le sue ballate fuorilegge per comporre un intero album di canzoni per bambini in cui parlava di aritmetica, dinosauri e orsacchiotti nella foresta. Come invitare a una festa di compleanno il clown di It.
PETE SHELLEY «TOUR DE FRANCE THEME»
Con i suoi Buzzcocks Shelley è incontestabilmente uno dei genitori del punk. Ma negli anni Ottanta si prese una pausa e si dedicò all’elettronica pubblicando un album, Homosapien, in un tripudio di sintetizzatori e drum machine. In quegli anni, sempre nel segno dell’elettronica, si cimentò anche con l’inconsueta colonna sonora del Tour de France per la sigla dell’evento sportivo che andava in onda in Gran Bretagna su Channel Four. Con questo lavoro, divenuto un classico per gli sportivi inglesi, il padrino del punk si ispirava ai pionieri dell’elettronica. Poco prima infatti, nel 1983, i tedeschi Kraftwerk avevano pubblicato un fortunato singolo techno-pop Tour the France”. La band nel 2003 pubblicò anche un intero album dedicato ai 100 anni della «Grande Boucle».
PADDY MCALOON «I TRAWL THE MEGAHERTZ»
Negli anni Ottanta per un breve periodo fu indicato come il nuovo genio del pop inglese. I suoi Prefab Sprout regalarono alcune gemme nella stagione che dava l’addio alla new wave e inaugurava il brit pop. Poi svanirono. Paddy McAloon è stato lontano dai riflettori, ha avuto seri problemi di salute rischiando la cecità e la sordità ed è ricomparso con una barba mosaica. Nel 2003 il genio dimenticato del pop Eighties si era trasformato in un compositore visionario che disseminando registrazioni e voci ricostruiva, con arrangiamenti orchestrali tra psichedelia e classica contemporanea, la sua esperienza. Una storia in musica di un artista che colleziona suoni captati dalle frequenze della radio.
THE EAGLES «THE SORCERER»
Il gruppo di Hotel California ha sempre voluto mantenere i piedi per terra, forse fin troppo. Ci ha pensato però la Bbc a spingerli fuori dal loro recinto e spedirli nello spazio, quando nel 1978 utilizzò un loro brano strumentale The Journey of the Sorcerer (dall’album One of These Nights) per un radiodramma comico-fantascientifico, Guida galattica per gli autostoppisti, creato da Douglas Adams diventato poi un romanzo di culto, una serie televisiva e più tardi un film. Fu lo stesso Adams a scegliere il pezzo poiché voleva qualcosa che fosse al di fuori degli schemi della fantascienza. Il banjo bluegrass di Bernie Leadon che sembrava essere la colonna sonora di un polveroso western picaresco, si trasfigurò così in un classico per viaggiatori interstellari.
MARK MOTHERSBAUGH «RUGRATS»
Mothersbaugh è irriconoscibile senza il suo cappello rosso a piramide (detto «energy dome») e senza una tuta gialla da profugo da apocalisse radioattiva. È il leader degli strampalati Devo che scardinarono la new wave americana dalla fine degli anni Settanta con un pop dadaista ironico e provocatorio. Negli anni Novanta venuta un po’ meno la popolarità della band, il cantante si è cimentato in progetti musicali diversi approdando anche alla colonna sonora del celebre cartone animato per bambini Rugrats prodotta dal canale Nickelodeon. Il frontman che cantava brani come Mongoloid o l’inno all’involuzione umana Joko Homo si è sentito sempre particolarmente orgoglioso di questa divagazione nella musica per bambini tanto da usare il brano come musica d’attesa della sua segreteria telefonica.
CHRIS CORNELL «LONG GONE»
Al di fuori dei suoi Soundgarden, Chris Cornell è sempre stato alla ricerca di un’identità artistica. Un vagabondare che tradiva la sua anima inquieta. Nel 2008, conclusa la sua militanza negli Audioslave, si inoltrò in territori per lui inesplorati affidandosi a un produttore di musica pop dance ai tempi sulla cresta dell’onda come Timbaland. Ne uscì nel luglio 2009 un singolo Long Gone che fu seguito da un album che trasformava una delle voci più potenti del grunge in un fragile interprete di insipida elettronica commerciale. La pesantissima mano produttiva di Timbaland non faceva che contribuire a una sensazione di profonda inadeguatezza. «Imbarazzante» commentò Trent Reznor dei Nine inch Nails. Pochi mesi Cornell era tornato sul palco con i Soundgarden.
THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE «STRAIGHT UP AND DOWN»
Un altro caso di band che ha visto un proprio brano proiettato in un’altra epoca. Il gruppo californiano spesso definito «neo-psichedelico» si è trovato sulla macchina del tempo quando un pezzo del loro repertorio è stato scelto per accompagnare la serie, promossa da Martin Scorsese, Boardwalk Empire, ambientata negli anni Venti. Il creatore della serie Terence Winter non voleva cadere negli stereotipi musicali del periodo usando il charleston. E così i Brian Jonestown Massacre sono diventati un pezzo di storia del proibizionismo.
LIL WAYNE «REBIRTH»
Non è quasi mai una bella esperienza quando un cantante rock si cimenta col rap. Ancora peggio quando succede l’esatto contrario. Il rapper di New Orleans Lil Wayne ci ha provato nel 2002 con un album rock che a molti critici americani ha ricordato l’anno in cui la superstar del basket Michael Jordan decise di dedicarsi al baseball.
BILLY CORGAN «AEGEA»
Una lezione va imparata. Quando un musicista esce dai propri confini artistici e lo fa o con un nome d’arte o con lavori in «edizione limitata» c’è da intuire, oltre che l’insicurezza sulla decisione presa, il forte sentore di passo falso. Questo album pubblicato nel 2014 dal leader degli Smashing Pumpkins, in edizione per collezionisti e firmato con la sigla WPC (William Patrick Corgan), raccoglie 86 minuti di monotone e un po’ snervanti «sperimentazioni». Pensate a una lunga seduta dal dentista. Una digressione artistica che ha però riportato il cantante all’ovile. Nel 2017 ha pubblicato il suo miglior album solista e nel 2018 è ritornato in pista con gli Smashing Pumpkins. A volte bisogna perdersi per potersi ritrovare.
Il paradosso della popstar
Storie/Inaspettate e singolari doti camaleontiche che non sempre hanno portato i risultati sperati. Artisti che hanno provato a uscire dal proprio ambito spiazzando fan e critici
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Pubblicato 5 anni faEdizione del 10 novembre 2018
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