Pubblicato la prima volta nel 2009 e poi riedito nel 2011, The Politcs of Climate Change è un testo di cui molto si è discusso a livello internazionale. Questa prima traduzione in italiano (La politica del cambiamento climatico, Il Saggiatore) rappresenta dunque un’opera meritoria in vista del prossimo vertice di Parigi delle Nazioni Unite, ma che arriva forse con qualche anno di ritardo. L’autore non è solo l’ex-direttore della London School of Economic, ma è stato anche stretto consigliere di Tony Blair, nonché il teorico della «terza via» verso il «Nuovo capitalismo».

Pensato come un lungo manifesto politico, il volume risente, da un lato, della crisi di quel modello, dall’altro di una certa obsolescenza rispetto agli sviluppi discussione scientifico-tecnologica. Molti dei documenti ai quali si fa riferimento (il quarto rapporto dell’Ippc, per esempio) sono stati superati. La maggioranza dei problemi sul tavolo però sono rimasti irrisolti e su questi aspetti l’analisi proposta conserva ancora elementi di interesse. Il punto di partenza è quello che viene definito il «paradosso di Giddens». Questo consiste nel fatto che, non essendo i pericoli legati al cambiamento climatico tangibili e visibili nel corso della vita quotidiana, le società tendono a ignorare la questione. Se però si aspetta che i pericoli divengano macroscopici prima di intervenire c’è da temere che a quel punto sarà tardi per tornare indietro.
Come viene mostrato dai sondaggi internazionali, la coscienza del problema climatico e energetico è diffusa, ma a ciò non segue la convinzione che si debba modificare il proprio stile di vita. Per questo Giddens ritiene irrealistico che possano funzionare strategie fondate sulla paura oppure manovre di stampo esclusivamente dirigista e punitivo. È da preferire invece un sistema che a fianco delle sanzioni (il principio del «chi inquina paga») applichi incentivi di tipo fiscale e promuova vantaggi di tipo economico sul controllo energetico (aziendali e individuali).

Certo, in America il tetto alle emissioni e l’investimento sulle rinnovabili continuano a dividere democratici e repubblicani, i quali hanno bloccato l’American Clean Energy Act di Obama. Tali tensioni hanno avuto ricadute anche sulla politica ambientale internazionale. Dal 1992 (l’anno summit di Rio de Janeiro) i negoziati tra i principali paesi industrializzati sono andati avanti, tuttavia – ricorda Giddens – con scarsi risultati come ha dimostrato anche il vertice di Copenaghen del 2009.

I problemi della povertà e dello sviluppo rapido, del resto, sono strettamente legati a quello dell’aumento della popolazione e rappresentano una della cause fondamentali della pressione che oggi minaccia le risorse. È su questo punto che si misurano secondo l’autore le principali difficoltà poste dal bisogno di conciliare la progressiva espansione dell’offerta mondiale di beni di consumo con gli interessi geopolitici delle parti in causa e con i bisogni ambientali. Dopo aver demolito lo slogan rassicurante di «sviluppo sostenibile» e certe interpretazioni catartiche della Green Economy, Giddens immagina un New Deal sotto l’egida dell’Onu per la fine della deregulation. Il libro, che ha il pregio analizzare i rapporti di forza e le opportunità politiche reali, non sembra fornire però novità significative sul come affrontare la debolezza degli Stati-nazione di fronte ad una crisi di sovranità che sembra irreversibile e rispetto alla quale non bastano il coinvolgimento delle Ong e la responsabilizzazione dei grandi gruppi capitalistici.