Sono gli scopi a definire l’esistenza o è la vita a determinare quali finalità perseguire? Una domanda semplice che in modo manicheo divide le persone in due categorie: quelle che rimandano l’appuntamento con la vita fintanto che non avranno trovato il proprio demone, e quelle che giorno dopo giorno stabiliscono un obiettivo e trovano un senso del proprio esistere nel semplice agire.

È CON QUESTO QUESITO esistenziale che si potrebbe riassumere celermente Soul, la nuova produzione Disney e Pixar, diretta da Pete Docter (Monsters & Co., Inside Out) e Kemp Powers (sceneggiatore di One Night in Miami, l’ottimo film di Regina King presentato alla recente Mostra di Venezia e visibile su Prime Video dal 15 gennaio), che insieme a Mike Jones sono anche gli autori della sceneggiatura.

Saltata l’uscita in sala, il film è stato rilasciato sulla piattaforma Disney+, visibile a tutti gli abbonati al servizio senza alcun costo aggiuntivo. Che si tratti di una scelta eccezionale frutto del momento che stiamo vivendo o che apra a nuovi orizzonti distributivi, quando si ha a che fare con l’animazione Pixar il punto di partenza è sempre lo stesso: a quale pubblico è destinata l’opera? A spettatori adulti che vogliono intrattenersi con domande esistenziali elementari? O a bambini che in anticipo coi tempi si pongono interrogativi definitivi sul senso della vita?

La trama è semplice: Joe Gardner è un pianista jazz che insegna in una scuola media con le frustrazioni che ne conseguono per chi avrebbe desiderato una carriera da musicista nei locali più famosi e invece si ritrova tra ragazzini disinteressati che prendono in giro l’unica allieva di talento. Ad aggiungere ulteriore sconforto, una madre sarta che con senso pratico spinge il figlio ad abbandonare ogni sogno di gloria per accettare il più sicuro e meno ambizioso lavoro a tempo indeterminato.

LA STORIA prende un altro corso, quando Joe ha l’occasione di suonare per la grande sassofonista Dorothea Williams. Proprio nel momento in cui la sua vita sta per cambiare, Joe per un eccesso di entusiasmo ha un incidente e si ritrova in un’altra dimensione sopra una scala mobile, destinazione l’Altro Mondo. Come ne Il paradiso può attendere (anche in quel caso il protagonista interpretato da Warren Beatty si chiamava Joe), il rifiuto della morte è tale da spingere l’anima a voler tornare sulla Terra con ogni mezzo possibile.

Se, però, per il giocatore di football che rifiutava il paradiso, si era trattato di un errore con gli angeli costretti a porre rimedio, cercando di re-installare l’anima in un altro corpo (quello originale era stato già cremato), nel caso del musicista non ci sono errori, non si può sfuggire al destino.

Tuttavia, Joe Gardner vuole vivere il momento che da sempre aveva aspettato. Fugge e precipita in un altro non-luogo, l’Ante Mondo, ossia lo spazio metafisico dove risiedono le anime che prima o poi popoleranno la Terra.

Un’occasione, forse per riappropriarsi del corpo lasciato a malincuore, per evitare l’infinito e tornare alle gioie e dolori della finitezza. Qui, Joe incontra 22, l’anima che si pone esattamente agli antipodi del musicista, l’essere che non ha demoni, che non trova la scintilla, l’indeterminato che non accetta di determinarsi.

LA DIALETTICA tra i due dà luogo a una serie di situazioni tra il comico, il surreale, il drammatico light, l’introspettivo, la lezione di vita, insomma tutti gli elementi che Pixar introduce nei suoi multiformi personaggi per accontentare, come si direbbe in una formula, grandi e piccini. L’esito è un film di intrattenimento suggestivo che fa pensare ai grandi a quella maledetta partita Iva aperta a forza per sentirsi liberi, che la scintilla sia scoccata o meno, e che lascia perplessi i piccini, incoraggiati a saltare nel vuoto dopo che un intero giorno era stato detto loro di non salire sul divano.