del suo pontificato, Bergoglio affronta, in Messico, forse il suo scoglio più difficile. Nel secondo paese al mondo per numero di cattolici, dopo il Brasile, neanche la secolare diplomazia vaticana potrà evitargli di scoprire il fianco proprio sul terreno che più ha scelto di cavalcare: quello degli «ultimi» per cui ha finora accompagnato i movimenti popolari nella rivendicazione delle 3T, Tierra, Techo, Trabajo (terra, casa, lavoro).

Diritti che le privatizzazioni selvagge, decise dal presidente Enrique Pena Nieto in base ai piani di aggiustamento strutturali dettati dall’Fmi, hanno finora calpestato e continueranno a calpestare. Dall’assunzione di incarico di Nieto, a dicembre del 2012, il numero di poveri è aumentato da 53,3 a 55,3 milioni, e oggi vive in povertà quasi il 46,5% della popolazione. Quanto a violenza, corruzione, traffico di droga, tratta di persone, femminicidi e impunità, il Messico a rimorchio degli Usa per le politiche securitarie, per le basi nordamericane e per il Tpp, ha pochi rivali al mondo, come testimoniano le cifre degli scomparsi (27.000 dal 2006 secondo i dati ufficiali, quasi la metà durante il mandato Nieto) e quelle dei morti ammazzati: 120.000 in dieci anni di «lotta al narcotraffico», volta soprattutto a comprimere la polveriera sociale che è diventata il paese e a proteggere gli interessi delle grandi multinazionali nelle zone più ricche di risorse; 109 giornalisti ammazzati e 20 scomparsi negli ultimi 15 anni; 4.000 denunce per tortura e solo sette condanne in un quadro che garantisce al crimine il 99% di impunità.

Durante l’incontro col papa, Pena Nieto ha usato il linguaggio vacuo delle parate e dei vertici: «Siamo in un’epoca in cui si potrebbe alimentare tutta la popolazione mondiale, tuttavia, milioni di persone patiscono ancora la fame e muoiono», ha detto. «L’esperienza ci dimostra che il beneficio per pochi si trasforma in terreno fertile per la corruzione, il narcotraffico, il sequestro e la morte», ha puntualizzato il Bergoglio delle 3T. Anche Manuel Lopez Obrador, leader della sinistra messicana, ex candidato presidenziale e oggi del partito Morena, ha inviato in rete un messaggio al papa in cui lo invita a guardare a fondo le storture e le disuguaglianze provocate in Messico da un sistema di potere che annichilisce gli spazi di agibilità politica per l’opposizione.
Un sistema ben sorretto dalla corporazione dei vescovi, in maggioranza tradizionalista, che il papa ha incontrato ieri.

Nel 2002, la chiesa messicana fu coinvolta in un grande scandalo di pedofilia e le gerarchie ecclesiastiche vennero accusate di aver comprato il silenzio delle vittime per coprire lo scandalo. Bergoglio ha invitato gli alti prelati a non aver paura dei giovani, né «della trasparenza». Poi è partito per Etapec, un municipio dello stato di Messico, colpito dall’insicurezza, dalla tratta di persone e dai femminicidi. Secondo l’Onu, solo in quello stato vengono uccise 7 donne al giorno. Da gennaio del 2014 a settembre del 2015 vi sono stati 602 omicidi di donne, il 16% probabili femminicidi. In questo stato, dal 2011 a settembre 2015 si contano 1722 femminicidi.

Dal 28 luglio del 2005 al 2014 sono scomparse 4281 donne, in gran parte minori di 17 anni, 95 di queste sono state ritrovate morte, delle altre non si conosce il destino. Domani, Bergoglio visiterà il Chiapas, lo stato più povero, più indigeno e meno cattolico del paese, pari al 58% della popolazione. Dirà messa con gli indigeni di diverse etnie nella cattedrale di San Cristobal, dove riposano i resti del vescovo Samuel Ruiz, morto nel 2011 e vicino agli zapatisti dell’Ezln. Il vescovo guidò la diocesi tra il 1959 e il 2000. Anni in cui il Vaticano lo marcò stretto per le sue posizioni poco convenzionali a favore degli ultimi. In prima fila vi saranno i famigliari dei 43 studenti scomparsi a Iguala a cui Bergoglio non ha comunque concesso udienza privata.

Durante il suo percorso di quasi 24.000 km, il papa mangerà con gli indigeni nello stato di frontiera con il Guatemala, porto di entrata degli oltre 12.200.000 migranti che ogni anno attraversano il Messico per tentare di raggiungere gli Usa. Nel 2015, sono stati 150.000 i migranti deportati dal Messico, il 97% di loro era guatemalteco e honduregno.