Atterrato ieri pomeriggio all’aeroporto di Dacca, capitale del Bangladesh, papa Francesco ha invocato «misure decisive» della comunità internazionale per risolvere la crisi umanitaria dei Rohingya, la minoranza musulmana birmana costretta a rifugiarsi in Bangladesh a causa delle persecuzioni del regime militare. Accolto dal presidente bangladese Abdul Hamid, che ha usato parole dure contro i birmani e chiesto aiuto per rimpatriare i profughi, Bergoglio – come già nella visita in Myanmar – ha evitato di usare il termine «Rohingya», riferendosi invece ai «rifugiati dallo Stato del Rakhine».

Una delegazione di Rohingya lo incontrerà oggi pomeriggio dopo l’incontro interreligioso per la pace nel giardino dell’arcivescovado di Dacca. L’incontro è stato confermato da Greg Burke, portavoce del Vaticano, che ha parlato di un «piccolo gruppo» di rifugiati, senza spiegare quanti e come siano stati selezionati. Il manifesto può raccontarlo in anteprima: si tratta di 16 persone, individuate dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) attraverso la consultazione con i leader comunitari dei campi allestiti a ridosso del confine birmano. Tra loro, una famiglia composta da moglie e marito, figli, uno zio e un nipote.

La delegazione-Rohingya ha lasciato ieri con un bus uno dei campi-rifugiati nel distretto di Cox Bazar, con un viaggio gestito da governo e dalla Caritas locale. Prima di incontrarli, papa Francesco celebrerà una messa al parco Suhrawardy Udyan, nel centro di Dacca, di fronte a centomila fedeli provenienti da tutto il Paese. Oggi tra l’altro Bergoglio ha visitato il memoriale nazionale dei martiri della guerra di liberazione dal Pakistan, da cui nel 1971 è uscito il Bangladesh indipendente.