Il 20 giugno papa Francesco andrà «in pellegrinaggio» a Bozzolo (Mn) e a Barbiana (Fi) «per pregare sulle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani», “preti di frontiera” autori di un dirompente messaggio evangelico e sociale, e proprio per questo messi ai margini e guardati con sospetto dalla Chiesa romana di metà Novecento di Pio XI, di Pio XII e del cardinal Ottaviani.

Non è corretto parlare di «riabilitazione», perché Mazzolari e Milani non hanno mai subito punizioni canoniche – la loro ortodossia non fu mai in dubbio -, solo forti limitazioni alla libertà di parola (divieto di predicare, di parlare in pubblico, di scrivere senza autorizzazione ecclesiastica) per non aver supinamente accettato le direttive politiche di vescovi e di curie totalmente allineate alla Dc. Si tratta però di un riconoscimento post mortem del valore di due preti «obbedienti in piedi» – come diceva lo stesso Mazzolari – che si sono scontrati con i poteri clericali, politici e militari dell’Italia democristiana e conformista del secondo dopoguerra.

L’annuncio è arrivato ieri dalla sala stampa vaticana, alla vigilia del 25 aprile, una coincidenza che colora di ulteriori significati la decisione del papa di recarsi «in forma privata» a Bozzolo e a Barbiana. La «forma privata» non è un modo per ridimensionare il gesto, bensì la volontà di evitare l’eccessiva spettacolarizzazione di un omaggio postumo – che sarebbe sembrata una “appropriazione indebita” – a due preti fino a poco tempo fa sulla lista nera dei sospettati di lesa maestà clericale per eccessiva obbedienza al Vangelo e alla propria coscienza.

Che papa Francesco potesse salire a Barbiana era nell’aria, anche perché il prossimo 26 giugno ricorreranno cinquanta anni dalla morte di don Milani: nel maggio 2014, a sorpresa, lo citò come «grande educatore» durante un incontro a San Pietro con il mondo della scuola; domenica scorsa, inviando un messaggio al salone del libro di Milano dove si svolgeva la presentazione dell’Opera omnia di don Milani nei Meridiani Mondadori, Bergoglio ha parlato di Milani come di un prete dai «percorsi originali», «forse troppo avanzati», tali da creare «qualche attrito, qualche scintilla e qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza».

Inattesa, invece, la visita a Bozzolo, da Mazzolari. Fu interventista democratico e cappellano militare nella prima guerra mondiale, prima di rinnegare quell’esperienza: «Ho schifo di tutto ciò che è militare», scrisse a un amico prete durante il conflitto. E anni dopo: «Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste, i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione, che la strage è inutile sempre, e ci avessero formati ad una opposizione cristiana chiara, precisa e audace, invece di partire per il fronte saremmo discesi sulle piazze». Antifascista (rifiutò di suonare le campane per Mussolini, fu aggredito dalle camicie nere), credente nella rinascita dell’Italia repubblicana grazie alla Costituzione nata dalla Resistenza, nonviolento (pubblicò Tu non uccidere, in forma anonima per sfuggire alla censura ecclesiastica, che comunque ordinerà di ritirare il libro).

Per entrambi arriva ora il riconoscimento da parte del papa e, implicitamente, un mea culpa per i torti loro inflitti. Senza che questo li trasformi in innocui santini, almeno per ora.
Prima di Bozzolo e Barbiana, il 28-29 aprile Francesco volerà in Egitto. Viaggio giudicato a rischio, a causa dei recenti attentati. Ma dal Vaticano minimizzano: Francesco «girerà con un macchina normale, chiusa ma non blindata». E chissà se, incontrando il presidente Al-Sisi, farà il nome di Giulio Regeni. In molti, a cominciare dai familiari, ci sperano.