Croci nere su fondo rosa e cartelli con i nomi degli scomparsi hanno accolto ieri il papa a Ciudad Juarez, ultima tappa del suo viaggio in Messico. Nell’avenida Tecnologico, debitamente tirata a lucido per l’occasione e sgombra di mendicanti e prostitute, di croci ce n’erano 50: piantate dai famigliari delle vittime degli ultimi femminicidi, che hanno reso tristemente nota la città dello stato Chihuahua, il più grande del Messico.

A Ciudad Juarez agisce uno dei più antichi e potenti cartelli della droga, quello di Juarez, che si dedica anche alla tratta di esseri umani, al sequestro e alle estorsioni. Secondo la Procura locale, Ciudad Juarez ha chiuso il 2015 con 311 omicidi. Nel mese di gennaio sono scomparse 50 ragazze tra i 10 e 25 anni. La tratta e la prostituzione minorile sono commerci fiorenti nella città di frontiera dove affluisce una buona parte di quegli oltre 55 milioni di messicani che vivono in povertà.

Al confine tra Messico e Stati uniti si trovano le maquiladoras, le fabbriche ad alto sfruttamento di lavoro vivo in cui le multinazionali agiscono senza controllo, in forza del Trattato di libero commercio firmato tra Messico, Canada e Usa. Fabbriche che impiegano prevalentemente donne, esposte a ogni genere di abusi, e spesso destinate ad accrescere le statistiche che finora registrano ufficialmente in Messico oltre 27.000 scomparsi.

Per la sua ultima messa del viaggio, il papa aveva riservato dei posti ai famigliari dei 43 studenti normalistas, scomparsi il 26 settembre del 2014 a Iguala: ma loro hanno rifiutato, non avendo trovato udienza presso il pontefice. In compenso, martedì, nel Michoacan, circa 20.000 persone hanno contato da 1 a 43 per ricordare gli studenti e hanno osservato davanti a Bergoglio un minuto di silenzio. Ieri, il papa ha incontrato i detenuti al penitenziario CeReSo, a cui ha detto che «l’insicurezza non si risolve solo con il carcere», e poi ha visto gli operai. E infine, l’attesa messa a ridosso della frontiera. Per dire «no ai muri».