Francesco ha concluso la sua visita pastorale a Cuba ieri con un messaggio mariano, un invito alla «rivoluzione della tenerezza», ma anche con la richiesta di maggior spazio nell’isola per l’opera della Chiesa cattolica, chiamata a uscire «dalla casa, dai templi e dalle sagrestie» per portare «un messaggio di riconciliazione, rompendo i muri e costruendo ponti e seminando riconciliazione».
La seconda parte della visita papale, nell’Oriente del paese, ha avuto un tono più pastorale, più concentrato sulla fede e sul valore dell’opera dei missionari. Una fede conservata anche negli anni difficili – quelli in cui la Rivoluzione volle rafforzare il carattere ateo dello stato – attraverso le «case dei missionari», in umili abitazioni e alle volte anche «un albero di mango sotto cui raccogliersi per parlare e praticare la propria fede», come ha detto padre Jesus Marcoleta, parroco di Varadero. Un’opera rivolta a una popolazione più umile di quella della capitale, dove la componente nera è più forte, discendenti degli schiavi tratti dall’Africa e nei primi decenni del secolo scorso degli haitiani importati a decine di miglia dalla statunitense United Fruit Company per la coltivazione della canna da zucchero. Dove le religioni afrocubane hanno maggior presa. E la popolazione ha risposto con più calore di quella havanera, partecipando massicciamente alla messa celebrata ad Holguin lunedì e ieri alla basilica minore della Vergine della Caridad del Cobre, dove erano presenti il presidente Raul Castro come pure il vertice politico del paese.

Il santuario e la basilica minore della vergine della Caridad del Cobre hanno un alto valore simbolico, sentito dalla grande maggioranza della popolazione. «Praticamente non vi è cubano che non abbia fatto visita al santuario», sostiene padre Marcoleta. La vergine nera è infatti la patrona e il simbolo di un’unità e indipendenza nazionale conquistate nella lotta, prima contro la dominazione spagnola, quando i mambises portavano con sé l’immagine della Caridad del Cobre. Ma anche della rivoluzione contro la dittatura di Batista e, di fatto, della lunga lotta per la difesa della sovranità nazionale dall’aggressione –economica, con il bloqueo, ma anche politica- degli Stati uniti. Nel santuario è conservato l’ex voto della madre di Fidel e Raúl, depositato quando i due leader furono arrestati dopo il fallito assalto alla caserma Moncada di Santiago nel 1953, di fatto inizio della Rivoluzione.

In questo luogo simbolico il papa ha ripetuto l’appello alla riconciliazione, alla necessità di integrare e di non escludere, alla necessità della libertà di espressione della fede e più in generale dell’unione di tutti i cubani, qualunque siano le loro idee, vivano a Cuba o fuori dall’isola. Un messaggio che ha entusiasmato i cittadini di Santiago che hanno tributato in massa un saluto caldo e soprattutto allegro al pontefice latinoamericano, specie nel momento dell’incontro con le famiglie nella cattedrale della Città, dove è stata consegnata a Francisco una statua della vergine nera affinché la porti a Filadelfia quando participerà a un incontro mondiale con le famiglie. Ma il simbolo dell’unità nazionale cubano è rivolto indubitabilmente anche alla comunità cubano-americana, anche questo una sorta di “ponte”tra cubani, come auspicato da Francesco.

Ancora una volta il papa ha preferito i toni discreti, i messaggi positivi e non toni di critica, con uno sguardo rivolto ai processi di cambiamenti interni a Cuba e di distensione con gli Usa. E’ stata una risposta indiretta a una polemica innescata dagli anticastristi e ripresa da una parte della stampa internazionale, che ha criticato il papa per «un atteggiamento troppo prudente nei confronti del governo». «Dovrebbe essere più forte e diretto e parlare della violazione dei diritti umani e sul diritto alla libertà di espressione», ha dichiarato Berta Soler, la leader delle Damas de blanco, un gruppo di donne che si batte per la liberazione dei politici detenuti. Soler ha dichiarato che la polizia ha impedito a lei e a altre due dissidenti di far visita al papa nonostante l’invito avuto dal nunzio apostolico all’Avana. Secondo Miriam Leiva, dirigente dell’Unione patriottica di Cuba, durante la visita papale sono stati arrestati non meno di 50 dissidenti, «senza che il papa abbia fatto un sol cenno a questa situazione». Le cifre riferite non hanno potuto avere conferma indipendente, e tantomeno da parte governativa.

Il portavoce del Vaticano, Federico Lombardi, aveva confermato che non era previsto alcun incontro tra il papa e rappresentanti del dissenso – del resto nessuno dei due pontefici che l’hanno preceduto aveva incontrato la dissidenza- aveva anche messo in chiaro che «questo tipo di problemi si discutono in conversazioni dirette e private, non i proclami pubblici». Facendo capire che l’argomento è stato trattato nell’incontro col presidente Raúl.

«La Chiesa cubana guarda un processo di riforme ed evoluzione del governo cubano, non vuole certo provocare un cambiamento di regime. La missione del papa ha lo sguardo lungo, Francesco e non è disposto a mettere in pericolo il processo di disgelo tra l’Avana e Washington in cui il Vaticano sta agendo come mediatore per una riunione con la dissidenza, un gesto che farebbe scalpore ma che non avrebbe solo effetti negativi», sostiene Rafael Barrera, uno dei pochi politici non comunisti che fanno parte del Poder popular della capitale. «Per questa ragione il papa ha evitato di condannare esplicitamente l’embargo nordamericano, la Santa sede più volte l’ha fatto. Quello che importa è, appunto, portare avanti un processo politico di cui potranno beneficiare anche tutti i cubani. Infatti, Francesco non ha pronunciato ieri a Santiago il discorso di commiato: la sua missione non è conclusa, continua ora negli Usa», afferma il professore di storia delle religioni, López Oliva.