Il Capo dello Stato, col suo gesto solitario ed al tempo stesso eclatante, eclatante perché solitario, silenzioso di quel silenzio che si addensa all’origine di ogni logos, ha voluto rendere omaggio non solo al 25 Aprile, alla Liberazione, ma a chi giace senza nome all’interno dell’Altare della Patria.

Mattarella ha, in modo del tutto inatteso, rovesciato la prospettiva: mettendosi dal punto di vista dei defunti che non hanno avuto la possibilità di essere sepolti dai loro cari, ha dato voce, senza parole, a chi si spegne senza il conforto dell’ultimo saluto. In queste settimane, non a caso, si è molto parlato dell’impossibilità di assistere i propri congiunti nel momento del trapasso, ma lo si è sempre fatto dal punto di vista dei vivi, mai dei morti, non dei morenti, si badi bene, ma dei morti.

Bene fa a ricordare Romano Màdera sul Manifesto del 26 u.s., «come sia dai sepolcri che si riconosce la relazione di negoziato e di conflitto tra i vivi e i morti fondativo delle società». E allora, se cosi è, senza entrare in un argomento tra i più misteriosi e contraddittori, divisivi, quello della vita dopo la morte, non è un caso che molte delle riflessioni fatte si siano soffermate sulla “permanenza”, in un modo o in un altro, dei defunti all’interno dell’esistenza come noi la intendiamo, e sull’esercizio negato del lutto.

Ma a questo punto, se è così importante per i vivi seppellire i loro morti, per continuare a vivere facendoli vivere dentro di noi, non possiamo, forse dobbiamo, necessariamente pensare che per i morti sia altrettanto importante essere sepolti dai vivi, per poter finalmente terminare il loro ciclo di esistenza? Sulle sue fragili spalle, rese potenti e larghissime da questa consapevolezza, il Capo dello Sato ha voluto così farsi carico di un simbolismo che va molto oltre il percepito, che lega questo mondo e ciò che nessuno di noi conoscerà mai prima del momento fatale, ma che continuamente ci parla attraverso la memoria, i sepolcri appunto: la condizione dei defunti.

Col suo gesto Mattarella ha creato un simbolo, cosa estremamente rara nella storia recente dell’umanità, capace solo di produrre loghi, cioè simboli deprivati. Egli invece ha gestualizzato la capacità di collegare visibile ed invisibile al di là di ogni spiegazione razionale e fenomenica. E così il Papa da una parte, che ha evocato la grazia della Madonna sull’umanità soffrente per causa della sua stessa cecità nei confronti della Vita, chiedendo scusa alla Madre di tutto il vivente, ed il Capo dello Stato dall’altra, che ha nominato, guardato negli occhi, e dunque dato sepoltura e voce al morto senza nome, formano le polarità complementari di una com/passione religiosa e civile che dovrebbe ispirare la quotidianità eccezionale che ci prepariamo a vivere nei prossimi tempi, mantenendo aperto il compasso della solidarietà unito alla squadra dell’educazione civile.