Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, ad ottobre, aveva aperto qualche spiraglio sulla possibilità per i divorziati risposati di accedere ai sacramenti. Ora papa Francesco allarga quelle fessure e afferma esplicitamente che, in casi particolari, il divieto di fare la comunione per i divorziati risposati può cadere.
Si chiude così, con la pubblicazione dell’ampia esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco Amoris laetitia («La gioia dell’amore», un titolo che ricalca quello della prima esortazione del pontefice, Evangelii gaudium, «La gioia del Vangelo»), firmata il 19 marzo ma resa nota ieri mattina, il percorso del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, dopo due anni di dibattito dentro e fuori le mura vaticane. Il Sinodo, infatti, è un organismo solo consultivo, e l’esortazione post-sinodale ne costituisce in un certo senso l’interpretazione autentica e l’attuazione.

Chi si aspettava che il papa avrebbe spalancato tutte le porte che la maggioranza dei vescovi aveva sprangato – su coppie omosessuali e contraccezione – resterà deluso. Del resto viene esplicitato fin dalle prime righe della Amoris laetitia che non era questa l’intenzione di Bergoglio: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche». Non è stata formulata nessuna nuova norma canonica generale, semmai – scrive il papa – spetta alla Chiese locali «interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano». La parola chiave per affrontare le situazioni «irregolari» è «discernimento», la stessa che ebbe un posto centrale nella Relazione finale del Sinodo. Che va applicato soprattutto alla situazione dei divorziati risposati, nei confronti dei quali già il Sinodo si era mostrato più indulgente, sebbene in modo ambiguo e controverso (un paragrafo della Relazione finale fu approvato per un solo voto).

Ora Francesco si spinge più in là: i divorziati risposati «non devono sentirsi scomunicati», «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo»; e scrive – ma curiosamente in due note a piè di pagina – che potranno accedere ai sacramenti, possibilità finora canonicamente preclusa.
Una strada resta quella di ottenere dai tribunali ecclesiastici la «dichiarazione di nullità matrimoniale», le cui procedure sono state recentemente semplificate dallo stesso Francesco, affidando maggiori responsabilità ai vescovi diocesani. Poi c’è il «discernimento», che valuti le «attenuanti» e distingua i casi, perché un conto «è una seconda unione consolidata nel tempo», altro è «una nuova unione che viene da un recente divorzio». Sarebbe «meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale», «come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone». Invece «è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato», «si possa vivere in grazia di Dio», «ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa». E, precisa la nota redatta dal papa, «in certi casi potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti», considerando che «l’Eucaristia non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli».

A parte queste aperture «caso per caso», la dottrina cattolica tradizionale sul matrimonio è ribadita in più occasioni: «Unione indissolubile tra l’uomo e la donna» contraddistinta dalla «apertura alla vita», quindi tesa alla procreazione («nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato, benché per diverse ragioni non sempre possa generare una nuova vita»). «Altre forme di unione – si legge – contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale». Un riferimento, quest’ultimo, al «matrimonio solo civile» o persino ad «una semplice convivenza» stabile, tuttavia «da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio». La condanna, invece, è per le unioni tra persone omosessuali, utilizzando fra l’altro – come fece anche il Sinodo – una formulazione redatta a suo tempo dalla Congregazione per la dottrina della fede guidata allora dal card. Ratzinger: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Ne consegue, inevitabilmente, la considerazione che «ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa»; «diversamente, il figlio sembra ridursi ad un possesso capriccioso».

«Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione», scrive Francesco, evidentemente prevedendo le obiezioni dei conservatori all’apertura sui divorziati risposati. «Ma la Chiesa non è una dogana», e «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare». «Questa è la logica che deve prevalere nella Chiesa». Non è un «balzo in avanti», ma – all’interno di un sistema dottrinale tradizionale e limitatamente ad una situazione circoscritta – una «maglia rotta nella rete».