Con il colloquio di ieri pomeriggio con il presidente russo Vladimir Putin, si è chiusa la settimana di incontri politici di papa Francesco, che il 5 giugno ha ricevuto in Vaticano la presidente del Cile Michelle Bachelet, sabato è volato a Sarajevo dove ha incontrato i presidenti della Bosnia Erzegovina e domenica ha accolto Oltretevere la sua connazionale Cristina Kirchner, presidente dell’Argentina (è saltata invece, sempre domenica, l’udienza con il venezuelano Nicolas Maduro, cancellata ufficialmente per problemi di salute del presidente).

Putin, come accaduto già un anno e mezzo fa nel novembre 2013 in occasione del suo primo incontro con Francesco, anche ieri si è presentato in Vaticano con un’ora di ritardo. E se la prima volta al centro dei colloqui c’era il Medio Oriente e in particolare la Siria, ieri il papa e il presidente russo hanno parlato «principalmente» di Ucraina, come precisa il comunicato della sala stampa della Santa sede.

Circa la situazione ucraina, spiega la nota vaticana, il pontefice «ha affermato che occorre impegnarsi in un sincero e grande sforzo per realizzare la pace, e si è convenuto sulla importanza di ricostituire un clima di dialogo e che tutte le parti si impegnino per attuare gli accordi di Minsk».

Che poi è quanto dichiarato dallo stesso Putin nella lunga intervista di sabato al Corriere della Sera: «Considero il documento concordato a Minsk, il cosiddetto Minsk 2, l’unica via per la risoluzione del problema. Non lo avremmo mai concordato se non lo considerassimo corretto, giusto, equo». Inoltre, prosegue il comunicato della Santa sede, è «essenziale anche l’impegno per affrontare la grave situazione umanitaria, assicurando fra l’altro l’accesso agli agenti umanitari e con il contributo di tutte le parti per una progressiva distensione nella regione».

Putin e Bergoglio hanno parlato anche dei conflitti in corso in Siria ed Iraq, confermando, puntualizza la nota vaticana, «quanto già condiviso circa l’urgenza di perseguire la pace con l’interessamento concreto della comunità internazionale, assicurando nel frattempo le condizioni necessarie per la vita di tutte le componenti della società, comprese le minoranze religiose e in particolare i cristiani», dei quali il presidente russo si è accreditato come una sorta di protettore.

Affermare che fra papa Francesco e Putin ci sia piena convergenza è eccessivo. Tuttavia è certo che il Vaticano non si associa al clima di diffidenza, se non vero e proprio isolamento, che c’è da parte di Stati Uniti e Unione europea nei confronti del presidente russo. Perché Bergoglio è estraneo alla tradizione della «guerra fredda» che sembra caratterizzare ancora i rapporti con Mosca. Perché non si pone, a differenza di Wojtyla e Ratzinger, come baluardo dell’Occidente a trazione Usa.

E perché, consigliato dal segretario di Stato, card. Parolin – un diplomatico vero, a differenza del suo predecessore, il card. Bertone –, capisce l’importanza geopolitica della Russia (come del resto della Cina) in questo frangente.

La sintonia fra Francesco e Putin – perlomeno sulla politica internazionale – risale all’inizio di settembre 2013, alla vigilia dell’attacco occidentale, che sembrava imminente, alla Siria di Assad. Papa Francesco, in occasione del G20 di San Pietroburgo, scrisse a Putin, che presiedeva quel vertice – contrario all’azione armata contro Assad –, chiedendo ai capi di Stato e di governo con il dito già sul grilletto di abbandonare «ogni vana pretesa di una soluzione militare» contro Damasco e di impegnarsi ad «una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato».

E poi, il 7 settembre, promosse una giornata di digiuno e una grande veglia per la pace in piazza San Pietro. Il tandem fra i due leader contribuì a non far cominciare la guerra, prima che il quadro geopolitico cambiasse così da rendere meno «urgente» l’attacco ad Assad.

La questione Ucraina potrebbe incrinare questa consonanza. Ma fino ad ora, e l’incontro di ieri sembra averlo confermato, la sintonia prosegue. L’atteggiamento del Vaticano è apprezzato da Mosca e dalla stesso Patriarcato ortodosso. Il papa infatti non ha mai condannato apertamente la Russia ma si è limitato ad auspicare la fine di una guerra «fratricida». Parole ben diverse da quelle invocate dai cattolici ucraini, che denunciano un’invasione russa.

Due giorni fa, l’arcivescovo di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, ha infatti inviato in Vaticano una lettera in cui chiede al pontefice «di essere la voce del popolo ucraino, dei suoi figli, di tutti i cattolici credenti in Ucraina che soffrono». Ma evidentemente il peso della Chiesa ortodossa russa è ben maggiore di quella greco-cattolica ucraina. E sullo sfondo resta sempre la possibilità di un viaggio del papa a Mosca, anche se l’ipotesi è ancora avvolta da une nebbia fittissima.