La mostra Entanglements di Fiamma Montezemolo (aperta alla galleria Magazzino, fino al 31 gennaio 2020), ottimamente curata da Matteo Lucchetti, è una rassegna ondivaga, che si fonda sul paradigma della biopolitica nell’accezione foucaultiana, a cui peraltro l’artista fa chiaro riferimento.

NEGLI ANNI SETTANTA, infatti, Foucault centrava la sua riflessione nello spazio delle relazioni di potere, rintracciandolo nella trama e negli intrecci dispotici dei rapporti che si stabiliscono tra gli individui. Il filosofo analizzava i suoi dispositivi a partire dalla capacità di trasformazione che ogni gioco di potere implica.
Montezemolo posiziona le sue tre magnifiche opere in questo bacino di indagine. Progetto Perucatti (2018) è una installazione in ferro e legno, che riproduce in scala (con la collaborazione dell’architetto José Parral) il carcere dell’isola di Santo Stefano (ispirato al Panopticon di Jeremy Bentham).
La torretta centrale funge da videoscreen attraverso cui fluiscono le immagini che rappresentano i desideri quotidiani dei detenuti ed estratti dall’artista, dai diari e lettere di Sandro Pertini e Luigi Settembrini, lì confinati durante il fascismo. Sono soprattutto immagini di libertà, di memoria e nostalgia quelle che scorrono. Il titolo dell’opera è dedicato a Perucatti, uno degli ultimi direttori del carcere che si batté per l’abolizione dell’ergastolo.
Alle necropolitiche, intese come pratiche di potere legate alle modalità con cui gli Stati governano e controllano la vita e la morte delle persone e di cui l’analisi del filosofo camerunense Achille Mbembe ne ha sviscerato le sue contraddizioni, si lega il trittico installativo Green White Red (Mediterranean Blue) del 2018. Articolato su tre pareti differenti, si afferma come pensiero anti-sovranista e devia verso una dimensione inclusiva. La bandiera italiana – con il trittico filigrana nei suoi tre colori – è vanificata nella sua retorica attraverso la sostituzione della tipica banda centrale bianca con un video che proietta onde del mare; rimandano al Mediterraneo, naturale approdo e divenuto confine, porto e drammatico luogo di controllo.

NELL’ULTIMA SALA, l’installazione Il Serpente (2019) immerge in un buio assoluto, interrotto dalle luci che scaturiscono dai piccoli teschi messicani sospesi al soffitto (realizzati in barro di Oaxaca). Un’animazione colorata vede il dio serpente Quetzalcoatl mentre cerca di districarsi dai suoi grovigli (entanglements appunto).
In una metafora articolata, Fiamma Montezemolo assimila la teoria ottocentesca lombrosiana di identificazione criminale anche attraverso i tatuaggi dei soggetti presi in esame e li sposta sulla vitalità che la divinità messicana imprime nel liberarsi dalla sovrapposizione del corpo tatuato di un detenuto lombrosiano. È un iter intenso quello architettato da Montezemolo, che coagula concetti chiave su cui riflettere, come sorveglianza e repressione, assoggettamento e liberazione dei corpi.