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Il «pane» proibito alle marmotte

Marmotte alpine foto ApMarmotte alpine – foto Ap

Sulle Dolomiti e non solo Dare «cibo innaturale» alle marmotte da parte dei turisti sta danneggiando gravemente la salute dei roditori. L’allarme delle associazioni

Pubblicato 22 giorni faEdizione del 5 settembre 2024

La pratica di dare da mangiare alla fauna selvatica si è arricchita negli ultimi anni della sottocategoria dei «foraggiatori» a scopo fotografico, che forniscono cibo agli animali più disparati – dalle papere all’orso – per poi pubblicare sui propri social media scatti e video rubati alla noia vacanziera.

LA MARMOTTA CADE AMPIAMENTE sotto l’ombrello dei selvatici «addomesticati» a scopo ricreativo, con conseguenze più evidenti che in altri casi dello sprovveduto intervento umano. Questa estate l’associazione rifugi del Trentino ha deciso di diramare un comunicato a scopo educativo, per limitare la pratica della somministrazione di pane, biscotti e quant’altro a questi roditori arbitrariamente viziati (nessuno credo si sognerebbe di dare da mangiare ai topi). «La gente porta continuamente cibo innaturale per le marmotte, che di base sono vegetariane e devono procurarselo anche rosicchiando». Il virgolettato è accompagnato da una foto che mostra un esemplare con un dente escresciuto rispetto alla bocca e da una esauriente spiegazione sulla giusta dieta. «Sono animali vegetariani che si nutrono di erbe, germogli, radici, fiori, frutti e bulbi di piante. Solo occasionalmente si nutrono anche di insetti». La val di Fassa, presso passo Sella, è una delle zone dove la pratica è più diffusa, anche per la facilità con cui si possono raggiungere alcuni rifugi e i pendii erbosi dove le marmotte proliferano. Gli incisivi che trovano cibi molli crescono a dismisura, perché i denti non si consumano nella loro naturale funzione. Ma non è questo l’unico problema che nasce dalla somministrazione di alimenti.

FILIPPO ZIBORDI, NATURALISTA E ACCOMPAGNATORE di media montagna, evidenzia altre due distorsioni importanti. «La prima è di carattere generale: l’uomo non deve incoraggiare l’interazione con la fauna selvatica, perché la naturale diffidenza degli animali permette loro di mantenere le distanze, cosa funzionale alla loro sopravvivenza. Inoltre ci sono animali – ovviamente non è il caso della marmotta- che resi confidenti possono risultare pericolosi per l’uomo».

BISOGNA POI CONSIDERARE CHE NEL CASO DELL’ORSO, ma anche della marmotta, scriviamo di animali che hanno cure parentali prolungate nei confronti della prole. «Le marmotte concludono lo svezzamento dei piccoli un mese circa dopo la nascita, che avviene a fine maggio, ma il processo educativo va avanti almeno fino al letargo successivo di ottobre, se non di più, dal momento che molti esemplari vivono con i genitori anche dopo il primo inverno». L’apprendimento di tecniche di reperimento del cibo non convenzionali potrebbe quindi venire trasmesso ai figli, diminuendo il loro adattamento all’ambiente.

LA SECONDA CONSIDERAZIONE E’ INVECE STRETTAMENTE legata alla dieta. «Luglio e agosto sono già mesi in cui le marmotte accumulano scorte di grasso per l’inverno e un’alimentazione non corretta potrebbe creare degli scompensi che vanno a incidere sul letargo. L’ibernazione dura da inizio ottobre a fine aprile, anche se può variare leggermente a seconda delle condizioni climatiche. Le marmotte preparano delle camere in cui vanno a nascondersi e che tappano dall’interno per mantenere più calde rispetto all’ambiente esterno. La temperatura corporea si abbassa fino a 5 gradi, dai 38-39 che sono la normalità: la marmotta sospende in buona sostanza ogni attività e deve preparare quindi prima le giuste condizioni del suo corpo per fronteggiare l’inverno».

A OGNI MODO NON È DIFFICILE VEDERE le marmotte sulle nostre Alpi e sono state introdotte anche in alcune aree degli Appennini e dei Pirenei. Sono animali che siamo abituati a collocare nel nostro paesaggio montano, anche se poi non ne sappiamo molto. In questo senso il parco nazionale dello Stelvio ha avviato un progetto di monitoraggio e studio da ben dieci anni. È una durata significativa, quasi un’anomalia nel panorama della ricerca italiana. «Stimare il numero di esemplari è complicato, perché la marmotta è un animale semi-fossorio, vive sopra la superficie ma anche dentro i cunicoli che scava. Noi abbiamo individuato una popolazione in val di Pejo, in Trentino, e ne studiamo i parametri demografici, le fluttuazioni nel tempo. Osservandole a lungo si riescono a capire più nel dettaglio alcuni aspetti. Per esempio a fronte di una vita media che normalmente è di 8-10 anni, abbiamo identificato un esemplare femmina – lo abbiamo chiamato Nebbia- che era già adulta nel 2014 e che quindi avrà almeno 12-13 anni. Le marmotte vivono in nuclei familiari indipendenti, con un maschio e una femmina monogami, anche se abbiamo visto che anche in natura la monogamia può essere una tendenza, ma non la regola». Per essere monitorati al meglio, gli animali vengono catturati e successivamente rilasciati dopo l’applicazione di targhe auricolari e microchip. «È un’operazione che dura 15 minuti in tutto, resa possibile grazie ad una specie di trucco. Le attiriamo con il tarassaco, di cui sono ghiotte, e dopo l’applicazione del microchip le rilasciamo rapidamente e senza conseguenze. Il monitoraggio prosegue poi con il metodo del doppio osservatore, cioè osservandole da distanza».

IL PROGETTO ATTIVO AL PARCO SI PROPONE inoltre di indagare la risposta delle popolazioni al cambiamento climatico. «È ancora presto per dare un responso, serviranno più anni. Gli studi internazionali che sono attivi da più decenni mostrano risultati difficili da calare sul contesto delle Alpi italiane. In Nord America, per esempio, hanno visto che, con l’aumento delle temperature, i pascoli rinverdiscono prima e le marmotte dal ventre giallo, molto affini a quelle che vivono sulle Alpi, in primavera anticipano l’uscita dal letargo, finendo per ingerire più cibo nel corso dell’anno e quindi trarre un vantaggio complessivo. Nel Vanoise, in Francia, invece un altro studio ha mostrato che la diminuzione della neve ha causato una diminuzione della temperatura invernale all’interno delle tane, perché è venuto a mancare l’effetto di protezione che la neve offre come barriera rispetto all’aria, con conseguente aumento della mortalità».

LA MARMOTTA NON È UN ANIMALE CHE RISCHIA l’estinzione: in Italia la caccia è vietata con l’eccezione dell’Alto Adige, dove il prelievo venatorio è consentito in limitati periodi dell’anno. Tra gli allevatori ci sono infatti sostenitori della caccia nei terreni dedicati al pascolo, per limitare i danni alle superfici erbose. «Come tutti gli animali ha un ruolo ecosistemico importante, dal momento che volpi e aquile sono tra i suoi principali predatori» chiosa Zibordi.

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