Può un armadietto diventare un buon forno? Sì, se cucinare si trasforma in un’impresa eroica e per avere anche soltanto un fornelletto a gas bisogna far ricorso a tutta la propria fantasia e a inedite doti di bricoleur. Accade quando si è detenuti in un carcere nelle sezioni «speciali» e preparare una salsa comporta difficoltà, in apparenza insormontabili: come aprire il barattolo del pomodoro se non è consentito l’uso dei coltelli o di lame affilate? Semplice, lo si costruisce a partire da uno spazzolino. Così, tutto si ricicla e ogni oggetto viene riutilizzato in modo creativo, reinventandone le funzioni, «regalandogli» un’anima fino a quel momento imprevista.
Cucinare in massima sicurezza
, il libro a cura di Matteo Guidi, edito da Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri (pp.153, euro 14, con all’interno le illustrazioni degli utensili readymade e le istruzioni necessarie alla loro funzionalità) viene presentato oggi, presso lo Spazio Cecere di Roma (ore 19), insieme ad una mostra di disegni di Mario Trudu, realizzata da Gino Gianuizzi e allestita a Neon campobase di Bologna. Il piccolo volume è stato immaginato e redatto nel 2009 insieme ad un gruppo di detenuti nella sezione di Alta Sicurezza della Casa di Reclusione di Spoleto, nell’ambito dei laboratori di comunicazione visiva organizzati dalla cooperativa CoMoDo (Comunicare Moltiplica Doveri). Con l’ausilio di un design fai-da-te, si possono collezionare una serie di ricette gustosissime – dai rotolini stuzzicanti, mescolati nelle ciotole con un pennello da barba, alla cassata siciliana da conservarsi in un frigorifero di polistirolo e carta argentata.
L’identità culinaria di chi non può godere della libertà di azione si trasforma in un rifugio di piacere e benessere, un’isola nella vertigine della «perdita». E in questo periodo di crisi soffocante, può insegnare molto anche a coloro che si trovano al di là del «muro», senza celle a contenere le loro vite. Un esempio: la caffettiera è anche un ferro da stiro, uno schiaccianoci, un martello. Fa pure il pesto, basta saperlo.
L’itinerario gastronomico ci conduce fra le pagine di altri due libri: A tavola con Shahrazad. Le ricette delle Mille e una notte, edito da Donzelli (pp.144, euro 22) e Nelle mani delle donne, pubblicato da Laterza (pp. 200, euro 16). Il primo – che presenta le suggestive illustrazioni in silhouette e ombre di Anne-Lise Boutin – è curato dall’antropolo algerino Malek Chebel, mentre ai fornelli orientali c’è lo chef libanese Kamal Mouzawak: è lui a «servire» al lettore succulente pietanze speziate. «Si potrebbe dire che i racconti delle Mille e una notte sono al contempo un concerto musicale, un mercato di profumieri, una festa per i viaggiatori e, soprattutto, un banchetto amoroso», annota Chebel. E non si può che concordare con i suoi appunti.
Il secondo libro, che ha come sottotitolo «Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo a oggi» è scritto dalla storica Maria Giuseppina Muzzarelli ed è un magnifico excursus, quasi in forma di romanzo, che attraversa diverse epoche, in compagnia di personaggi come la strega Matteuccia o la dottoressa Amalia Moretti Foggia Della Rovere (celebrte per le sue Ricette di Petronilla che iniziamente apparvero sulla Domenica del Corriere, sotto forma di rubrica e consigli «domestici» per massaie).
Il cibo, fonte di estasi, di una ritualità femminile che si protrae nel tempo, elemento afrodisiaco quando accende i desideri sopiti, accoglie anche il suo «rovescio»: si fa veleno, pozione che uccide: furono moltissimi, infatti, i casi di mogli che, per liberarsi dei loro consorti, in assenza di leggi e diritti che tutelassero le donne, non disdegnarono le antiche usanze tramandate da nonna in figlia ricorrendo a intrugli letali: lo testimoniano i numerosi processi che si sono susseguiti in tutta Europa, secolo dopo secolo. Qualcuna, l’ha sicuramente fatta franca.