La nota biografica più famosa del vincitore delle elezioni in Pakistan, il capo del Partito della Giustizia Imran Khan, è quella dell’ex cricketer prestato alla politica.

Ma il controverso 66enne nato a Lahore in una ricca famiglia pashtun è forse il capo politico più chiacchierato da sempre nel Paese dei puri: playboy con diversi matrimoni, divorzi e controversie legali per affari di cuore alle spalle, Imran è tutt’altro – per sua ammissione – che un «angelico» emblema della dirittura morale islamica.

Eppure ha saputo trattare con i partiti islamisti e con i talebani dichiarando guerra alla «guerra al terrore» degli Usa e accusando il governo in carica della Lega Nawaz di aver mandato nelle aree tribali pashtun un esercito di occupazione, tollerando i droni killer made in Usa.

«Taleban Khan», come viene chiamato, è per ammissione di tutti un populista nato con la camicia e l’ossessione della corruzione. C’è chi lo vede come un pazzo pericoloso e chi come una sfida per i landlord che governano di fatto alleati alla potente casta militare.

Con buone performance nei sondaggi elettorali ma con la possibilità reale di non farcela contro il potente partito di Nawaz Sharif al potere dal 2013 e ben addentro ai gangli della macchina burocratico-amministrativa (che Imran vuole riformare), l’ex cricketer – che può vantare di aver condotto la squadra che capitanava alla vittoria della World Cup nel 1992 – alla fine ce l’ha fatta, seppur non con abbastanza voti per formare un governo da solo.

Ma la vittoria è doppia: non solo sarà premier ma il suo partito ha superato la Lega Nawaz, antagonista da decenni, da quando nel 1996 Imran fondò il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), lasciando mazza e palla di cervo per scegliere la politica e fondare un partito che rivoluzionasse il Pakistan senza fargli perdere la vocazione primigenia immaginata da Ali Jinnah, l’uomo che negli anni Quaranta era riuscito a convincere Londra (senza difficoltà) a separare i musulmani dall’India in un Paese nuovo, basato sui principi morali dell’Islam ma laico nelle fondamenta istituzionali.

Dopo 22 anni, giovani, donne e maschi delusi gli hanno creduto. Time Magazine ha scritto che è come Trump, ma benché entrambi siano uomini ricchi e forse anche capricciosi, inascrivibili a un’ideologia politica, Imran è molto diverso e probabilmente più affidabile di Donad anche se più indigesto agli americani dell’ex premier Nawaz Sharif, tutto sommato obbediente.

Contrariamente a Trump, che al massimo gioca a golf, Imran è un corridore. E molta della sua ricchezza – di famiglia o accumulata con la fama e in parte con gli affari – è finita in beneficenza, attività per cui Trump non è molto famoso.

Controverso o meno che sia, cosa farà adesso? Il governo è questione di numeri e i suoi sono buoni: a scrutinio quasi ultimato il suo partito ha 117 seggi contro i soli 66 della super sconfitta Lega Nawaz. Il Partito dei Bhutto ne ha 43 e 13 la coalizione di partiti islamisti moderati.

Su 342 seggi, 70 non valgono per i fare i conti del governo perché sono attribuiti alle donne e alle minoranze (!) e dunque il conto si fa su 272 (seggi musulmani e maschili): per governare da soli ce ne vogliono 137 e dunque Imran è ancora lontano.Allearsi non sarà difficile, persino se il Pti decidesse di fare a meno dei Bhutto.

Ma allearsi significherà anche far capire se Imran ha veramente deciso di esautorare landlord e potentati e in quali rapporti sarà con l’esercito. Nelle rituali accuse di brogli, la Lega Nawaz, che dai militari si è sentita tradita, li accusa di aver tramato con Imran che, per altro, ha avuto parole di elogio proprio per le divise nel suo primo discorso pubblico post voto.

Imran però, che prima appoggiò il colpo di Stato militare di Musharraf (contro Nawaz) è anche uno che i militari hanno messo in carcere. E un uomo che, seppur a parole, sostiene che la vicenda Kashmir non si può risolvere militarmente.

Può darsi che, al netto di qualche aiutino, i generali stiano a guardare per vedere se il cavallo è di rango. Poi c’è la questione islam e amicizie bizzarre come quella con Muhammad Tahir-ul-Qadri, un mullah nazionalpopulista che più volte lo ha aiutato. Si potrà tener tutto assieme? Il capitano gioca la sua partita più difficile proprio adesso che ha vinto.