«Mafia tunisina + mafia italiana = rifiuti», «il popolo tunisino vi chiede di riprendere i rifiuti», «il paese di Annibale non è una discarica». Gli slogan dei giovani attivisti per l’ambiente così come i cori che per qualche ora hanno rotto il silenzio di Avenue di Jugurtha, nel cuore del quartiere di Mutuelville, tra le sedi di numerose organizzazioni internazionali e ambasciate, non sono in arabo, ma in italiano. Sono rivolti direttamente all’ambasciatore italiano a Tunisi: «Chiediamo alle autorità italiane di assumersi le proprie responsabilità e riprendersi i rifiuti bloccati a Sousse da mesi», annuncia un manifestante durante un discorso ai presenti, mentre punta il dito contro la nostra sede diplomatica.

DI FRONTE ALL’AMBASCIATA d’Italia in Tunisia, un gruppo di manifestanti appartenenti a diverse associazioni per l’ambiente tra cui Stop Pollution e Tunisie Verte hanno deciso di riunirsi in segno di protesta, con un’unica richiesta: il rimpatrio dei 212 container di rifiuti rimasti bloccati nel porto di Sousse da quando, a novembre 2020, le autorità tunisine hanno aperto un’inchiesta sull’arrivo di 12mila tonnellate di balle provenienti dal porto di Salerno. Durante la manifestazione, organizzata dal consigliere municipale a Sousse Majdi Ben Ghazal, sono stati esposti simbolicamente dei sacchi dell’immondizia contenenti dei fiori. Accanto ai cartelloni per «più giustizia ambientale», c’è anche chi impugnava le foto dei migranti dispersi in mare: «Veniamo respinti e pure usati come discarica».

IN TUNISIA, LO SCANDALO dei rifiuti campani ha avuto un’eco mediatica più importante che in Italia, tanto da portare alle dimissioni dell’ex ministro dell’ambiente tunisino Mustapha Laroui, attualmente in carcere, ancora sotto indagine. Dalla pubblicazione dei primi documenti il 2 novembre 2020 in una video-inchiesta del programma tunisino Le Quattro Verità sul canale privato El-Hiwar Ettounisi, l’opinione pubblica del paese nordafricano non ha mai smesso di chiedere spiegazioni su come 282 container ufficialmente carichi di rifiuti domestici (191212 secondo il Catalogo Europeo dei Rifiuti) siano potuti sbarcare in Tunisia, un paese dalle discariche sature, che non riesce a smaltire i propri rifiuti.

Come svela un’inchiesta congiunta pubblicata da IRPIMedia e dal sito tunisino Inkyfada, il contenuto dei container era destinato a operazioni di riciclo, ma l’azienda fantasma che lo ha ricevuto – la Soreplast, il cui proprietario è in fuga-– in realtà non sarebbe in grado di poter effettuare le operazioni dichiarate.

MENTRE LA GIUSTIZIA fa il suo corso, i 212 container che non sono mai stati scaricati (70 sono infatti sono già usciti dal porto) devono essere rispediti al mittente al più tardi entro 90 giorni dall’attivazione della procedura, come prevede la convenzione di Basilea sui movimenti transfrontalieri di rifiuti in caso di sospetto traffico illecito. Ma la data limite per il rimpatrio è già scaduta: il carico sarebbe dovuto partire per l’Italia il 24 marzo, ma la società all’origine della richiesta di esportazione – la Sviluppo Risorse Ambientali del comune di Polla (Salerno) – e la regione Campania, che ha rilasciato le autorizzazioni all’export, si rimbalzano la responsabilità.

LA S.R.A. HA PRESENTATO un ricorso al TAR Campania chiedendo la sospensione della decisione sul rimpatrio emanata dalla regione. Dopo che il TAR Campania ha dichiarato di non potersi occupare del caso, la S.R.A si è rivolta al TAR del Lazio, prolungando i tempi. Per Nidhal Attia dell’associazione Tunisie Verte, il Paese non può attendere i tempi della giustizia: «A rimetterci siamo noi».