Il Kenya è un Paese di gente in fila. Code di persone davanti alle banche sempre piene, lunghe file ai dispensari e interminabili serpenti di macchine ai semafori: gente che cammina senza sosta per chilometri e chilometri perché non può permettersi di pagare l’autobus, pastori erranti alla ricerca di fonti d’acqua, bambini in riga in silenzio per un piatto di githeri, rifugiati in coda per la razione di cibo.

Coda di folle che si muovono come se fossero un corpo solo con movimenti che a volte sembrano seguire il ritmo di un ballo lento, altre la frenesia primordiale: quando la gente si lancia alla caccia di un ladro per realizzare la mob justice (la giustizia della strada).

Un Paese fatto di buchi: per le strade, nei bilanci, nei canali fognari e negli acquedotti, nelle mani dei donatori internazionali e nelle vene dei malati di Aids, ma il «buco» più vistoso è nella storia. Si è pensato di far crescere questo Paese, modificare la sua cultura e le sue tradizioni un po’ come un bambino che si tira una pianta per farla crescere più in fretta.

Come le donne allungano i capelli con le treccine di plastica, così hanno trasformato le case basse in grattacieli, le foreste in parchi, l’agricoltura familiare in piantagioni. Ma non si può ingannare la crescita.

Ne è scaturito un Paese che è quotidianamente nella ressa e spinge (sukuma) dentro un altro Paese che è nel vuoto: foreste, spazi deserti, siccità. In questo secondo Kenya si trova, da ormai quattro mesi, la volontaria italiana Silvia Romano e non si hanno notizie. Arresti di massa, taglia da un milione di scellini, droni, appelli e preghiere non hanno scalfito il vuoto.

Un effetto del rapimento, come raccontato dal giornalista Rai Enzo Nucci, è che nel villaggio in cui Silvia è stata rapita si fa fatica a trovare medici (e insegnanti) disposti a fare visite perché c’è paura, «un senso di insicurezza». Il parroco di Chakama, Joseph Wesonga, pensa che il silenzio sulla vicenda sia il segno che c’è una trattativa in corso. Ma il silenzio è anche una strategia del potere, se non si sente rumore è il momento di preoccuparsi.

L’Italia ha provato a mandare il proprio personale ispettivo, ma il Kenya ha rifiutato. Così la scorsa settimana, nell’ambito di un’indagine per sequestro di persona con finalità di terrorismo affidata al pm Sergio Colaiocco, è stata trasmessa la richiesta di invio un pool di investigatori italiani (carabinieri del Ros) sul territorio keniano.

Da giugno la Compagnia aerea Kenya Airways aprirà un volo diretto su Roma in codesharing con Alitalia. L’ambasciata lavora: speriamo che tutti i dossier arrivino a buon fine.